SOGNI DI ROCK ‘N’ ROLL

Rock duro e ruggito di motore. Vento nei capelli e cuore che batte a mille. Un connubio micidiale per noi che ci sentiamo liberi di volare.

Il racconto gemello di “Street Bob Striptease”, per “Diari in motocicletta”- Rudis Edizioni, che parla della svolta on the road di una donna di mezza età . Sulle note del migliore rock Italiano anni ‘90. Per gli amanti dei motori, di Vasco e di Ligabue. Un inno alla ribellione

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Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri.

Però, della mia di vita, qualcosa so. Anche fin troppo. Solo che ho finito per dimenticarlo.

O forse ho solo finto. Più o meno come un regista che a metà delle riprese straccia i fogli della sceneggiatura per procedere a impronta, e nemmeno sa cosa scegliere per colonna sonora.

Il punto è che il mio, di bilancio, è piuttosto salato, anche se non mi sono mai soffermata ad analizzare nei dettagli, con dovizia e attenzione, i punti salienti del mio passato. È da tempo che glisso, fingendo di aver smarrito chissà dove il modello unico e irriproducibile del setaccio della critica. L’ultima lente di ingrandimento che forse mi avrebbe permesso di non affogare, fungendomi da salvagente, è affossata nel fondo della borsetta, tra rossetti eyeliner e una pennellata sbavata di Rimmel. Per cancellare per sempre il mio nome dalla mia facciata.

Troppa riluttanza inconfessata, meglio ingoiare illudendosi, seguitare fiduciosi ad autoconvincersi che domani sarà meglio, come la regina delle sognatrici.

Ma credere in un sogno ormai abortito non potrà portarci molto lontano. Mentre ti convinci che sia possibile mettere una pezza sul passato, rammendandone lo squarcio, nel frattempo il suo fantasma impazzito lavorerà silenzioso, scavandosi tunnel periferici, gallerie tentacolari che prima o poi arriveranno dritte a infettarti il cuore, e allora saranno guai seri. La cancrena è in agguato.

Troppe volte mi sono ripetuta oggi non ho tempo, oggi vorrei solamente che tutto stesse spento. Resilienza, già. Una parola abusata. Piuttosto si direbbe l’inganno celato, a sorpresa, nel teorema sbagliato. Un subdolo laze biosas, tanto ingannevole quanto rovesciato.

Quello che ai tempi del Liceo ti spacciavano banalmente per il dolce ritiro nel conforto dello studio: costruirsi un futuro, facendo tutti i giorni i compiti, era l’investimento più sicuro per una proiezione ingannevole. Mentre nel frattempo, silenziosamente, perfezionavi la tecnica per mentire, fuggendo il tuo presente. Inizia così, almeno credo. Con tutte le migliori intenzioni, e finisce che tiri avanti, nuotando nella boccia dei pesci rossi.

È facile, del resto, imparare l’arte del tirare a campare. Basta spegnere lo stereo del tuo cuore, sintonizzarlo su un’altra musica e coprire tutti gli specchi di casa col filtro della finzione.

Ma oggi qualcosa mi si è rotto dentro.

«Cameriere, scusi: vorrei il conto!»

«Ma se ha preso solo l’antipasto, e non è arrivata nemmeno al dolce?»

«Ecco appunto, mi basta! Voglio cambiare ristorante».

Ma dove diavolo si trova il pulsante di questo ascensore dell’assurdo? Un bunker senza finestre e una sola porta che non permette mai di aprirsi su uno scenario diverso, e soprattutto è programmato per non farti mai scendere.

Ma ormai ho deciso, si svolta. Proprio oggi, all’alba del mio compleanno. E sono quarantacinque.

Mi sono presa un giorno di pausa. Dal lavoro, dalla famiglia, da me stessa. Da ogni quotidiano vincolo di abnegazione.

Per prima cosa ho finto di chiamarmi Katiusha, che Caterina mi va troppo stretta. Non sopporto più quell’eco che mi tiene avvinta al senso del dovere, come una catena che non si spezza mai, anche se è legata al vecchio cesso fuori uso di un bagno della stazione.

Via libera dunque al primo tatuaggio. Una cavigliera tutta in filigrana sul dorso del piede sinistro, qualcosa per liberarmi in fretta dal mio personale karma, l’incubo della signora perbene, peggio delle caste indiane, perché se nasci nella famiglia giusta finisce che ci resti, nella proiezione di un principe azzurro che esiste solo nella tua miglior perversione.

Laurea, master, matrimonio, lavoro rispettabile e figli. Mai, il tempo di appartenersi.

Devi restituire alla società il suo migliore investimento, un piano di studi personalizzato nel farti calzare come un guanto nell’ingranaggio calibrato dell’orologio del tempo. Convincendoti, poi, che tutto è già passato. Il kairos intendo: non solo non esiste il tempo degli dei, ma quello che è più grave è che non è mai il tempo per noi, quello disegnato solo per te, quello di svoltare, perché l’attimo fuggente è già stato colto da un altro e subito è sparito, fulmineo, si è dileguato evanescente più di una nuvola.

E sia. Perché se così è, anche se non vi pare, la mia Katiusha è proprio come una ninfa. Che ha appena scoperto il potere di volare via libera, nelle verdi praterie e nei fiumi, completamente nuda, per sentirsi immortale. E mortalmente immorale.

C’è una porta nascosta nel cuore della nostra vita.

Una porta enorme, anche se invisibile, che ha almeno quattro entrate, come ogni porta girevole. Ti si schiude come un portone proprio nei momenti peggiori, in cui pensi che tutto sia perso è l’unica speranza è il parapetto del balcone.

È proprio allora che la devi imboccare: basta fare come Alice e lievitare lentamente, senza paura, nel tunnel sotterraneo che ti porterà altrove, anche se ignori esattamente dove. Mentre tu galleggi nella nuova avventura ti sorrideranno a specchio le vecchie tazzine del tè, quelle pregiate del servizio in ceramica, che scoppieranno in mille pezzi, travolte dalla tua bomba a mano. Sarà solo l’inizio. Quando di colpo comincia lo show della tua vera vita non lo percepirai più come una proiezione estranea, ma subito ti apparirà nitido, reale, fissato davanti alla tua retina …

Come il paesaggio che in questo momento mi si sta profilando davanti, mentre abbandono i capelli al vento.

Siamo in viaggio, io e la moto mia.

Seduta finalmente in sella alla mia Aprilia. Il giubbotto in pelle, per coprirmi dalle intemperie. L’ho persino trovato giallo fluo, che la mia Katiusha vuole lottare a colpi di katana e farla per sempre fuori, la povera Caterina.

C’è chi dice no alle solite ordinarie castrazioni. C’è chi si mette in viaggio in cerca di semplici emozioni, cose vere e vive, come l’aria sferzante che ti regala forti sensazioni, per lasciarsi alle spalle la vecchia Sally.

Che ha già visto che cosa ti può crollare addosso.

Ma non più, adesso che sono sulla mia moto. La mia nuova me, ora, vuole credere solamente in se stessa.

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Credo che c’ho un buco grosso dentro, ma anche che il rock n’roll e la mia moto, e qualche sano sprazzo di follia con le amiche, beh, ogni tanto questo buco me lo riempiono.

Credo che la voglia di scappare da una vita sbagliata vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso.

E credo che da te non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx. Ma puoi sempre entrare nella porta girevole, darti un nuovo nome e salire in sella alla tua Aprilia.

Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri.

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Racconto gemello di “Street Bob Striptease”, “Diari in motocicletta” di Rudis Edizioni, giugno 2021

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