LA PRINCIPESSA SERPENTE

(Fiaba premiata con Menzione Speciale al Premio Jean De La Fontaine- giugno 2021)

Tanto tempo fa, oltre la barriera sgargiante posta ai confini con l’arcobaleno, esisteva un regno mitico chiamato Shangri la.

La sua principessa era una bellissima bambina di nome Sharbat, la cui nascita era circondata da un velo di mistero. Era stata ritrovata alle sponde del ruscello, sotto la colorata corolla di una palma, avvolta da una corona di petali. Il loro profumo aveva attirato uno sciame di farfalle, tanto esteso ne era stato lo strascico da creare un sentiero aereo che dalla palma era arrivato sino alle finestre del castello: fu il segnale decifrato dalla fate per incoronare la loro piccola sovrana.

Allevata sulla riva delle acque profumate, amica del fruscio delle foglie e compagna delle farfalle, Sharbat era presto diventata una principessa piena di gioia, coraggio e saggezza, nonostante la giovanissima età.

Quando aveva un dubbio su come governare, le bastava arrampicarsi su un albero per osservare dall’alto il volo degli uccelli, e questi accorrevano in suo consiglio raccontandole tutto ciò che avevano visto nei reami vicini, sino ai confini più estremi del mondo.

Durante le notti di plenilunio raggiungeva la sua fonte, e tracciando un cerchio di fuoco sulla riva, scioglieva i suoi capelli al vento per immergerli nelle acque del fiume. Allora le ninfe accorrevano al suo richiamo, diffondendo in tutto il regno l’aroma di menta e viola di cui i capelli si erano imbevuti. Era quello un elisir di lunga vita che assicurava alla principessa e ai suoi sudditi un equilibrio di forze benefiche, grazie all’incontro della notte col giorno, dell’acqua con l’aria, del fuoco con la terra.

Ma un giorno, tutto cambiò improvvisamente.

La notizia della bellezza di Sharbat e della sua inesauribile saggezza giunse alle orecchie del potente mago Ravana.

Il malvagio vecchio, che dominava sul regno vicino di Shatan, fu colto da grande invidia nei confronti della piccola, così giovane eppure già tanto saggia, e il suo odio diventò tanto potente da inquinare le acque dove la principessa andava a immergersi nelle notti di luna piena.

Fu così che una notte la bambina non riuscì a decifrare il messaggio inviatole dallo spirito del bosco. A contatto con le acque inquinate, i suoi occhi si annebbiarono, e non le fu più possibile proteggersi dal pericolo in agguato. Le onde del fiume s’incresparono attorno al suo corpo formando delle insolite spirali, e la principessa fu scossa da brividi di gelo. La terra iniziò a creparsi intorno alla riva sino a esplodere in uno spaventoso boato, lacerandosi in mille crateri, che la inghiottirono nelle loro fauci.

Quando aprì gli occhi, non era più rimasto nulla della bellissima bambina con la lunga chioma e gli occhi di stelle. I suoi capelli si erano trasformati in orribili squame che le ricoprivano tutto il corpo, e la sua danza, prima fatta di giravolte e armonici vortici, era rimasta imprigionata in un’unica, sinuosa movenza: quella del serpente in cui si trovò trasformata.

Pensando che la loro principessa li avesse abbandonati, i sudditi di Shangri la decisero che da quel momento solo gli uomini adulti avrebbero potuto governare sul loro regno. Crearono rigorose leggi, formarono consigli, ordinarono militari sino ad arrivare a stabilire un rigido ordine tra le classi sociali, gerarchie tra uomini e supremazie tra i mestieri.

Dietro a questo progetto, tuttavia c’era solo lui: il malvagio mago Ravana che finalmente era riuscito a prendere il potere.

Trovandosi in un corpo non suo, Sharbat si sentì disperata. Costretta a strisciare per terra, disprezzata dalla razza umana che adesso, con espressione inorridita, si liberava di lei scacciandola via col bastone, pensò che non le restasse più altra via di scampo, e perciò, arrampicatasi sulla sommità di un albero, si decise a lasciarsi morire.

Ma il suo soffocato dolore richiamò in aiuto un’aquila reale.

«Cosa ti affligge, mio caro serpente?»

Lo stupore invase Sharbat, che per non cadere dall’albero a cui si era ancorata dovette stringere più forte la coda attorno al ramo. Poteva parlare con gli uccelli, finalmente possedendone la comprensione delle singole parole. Si sentì risollevata, pensando che ci poteva ancora essere un filo di speranza.

«Non sono un semplice serpente, anche se lo sembro», replicò svelta, asciugandosi con la lunga coda le lacrime che ancora le scendevano copiose sul muso.

«No, certo. In realtà dovresti essere il più regale dei rettili, e non solo. La piuma che porti alla sommità del tuo piccolo capo mostra che sei il re, il leggendario serpente piumato».

«Dici veramente? E tu come lo sai?»

«Beh: tra noi reali ci si intende. Come aquila, ho sempre avuto il dominio del cielo, ma sulla terra il mio alleato, tanto potente quanto raro, è sempre stato il serpente. Si narra che abbiate dei poteri speciali legati all’immortalità. Ma anziché apprezzarvi ed esservi grati per questo grande dono, gli umani vi disprezzano rinnegando la loro stessa, lontanissima origine».

Scoperta la verità che univa la specie degli umani a quella dei serpenti, la piccola Sharbat non riuscì a trattenersi, e rivelò all’aquila la sua storia.

«Ero la principessa Sharbat, e ora, per un motivo sconosciuto, mi ritrovo imprigionata in questo corpo che non mi appartiene».

«Capisco. Allora forse la faccenda è più grave di quanto pensi. Quando le cose non tornano, normalmente c’è di mezzo il malvagio Ravana. Ti avrà fatto un sortilegio».

«Ma io non conosco nessun mago…»

«Ah! Non c’è nulla da conoscere, mia cara principessa. La faccenda è sempre la stessa da secoli: la solita storia della lotta per il potere tra uomini, nulla di nuovo sotto al sole. La buona notizia, è che nella pelle di un serpente, potrai sempre fare la muta! Prima o poi, vedrai che riuscirai a rimpadronirti del tuo corpo e a sconfiggere il nemico. Abbi fede nella tua natura, caro amico!».

Così dicendo, l’aquila si alzò alta in volo sparendo nel profondo del cielo, e lasciando la povera Sharbat in un nuovo disorientamento. Era punto a capo, in preda al più grande sconforto: non aveva infatti nessuna idea di come poter fare la muta, sciogliendo il maleficio che l’aveva colpita. Tutto era nuovamente immerso in una densa nube di mistero da cui era difficile districarsi.

Sebbene avesse fatto appello a tutte le sue forze, quel corpo a lei tanto estraneo sembrava essere del tutto indifferente alle sue richieste interiori, che seguitavano essere quelle dei sogni di una bambina. Capì allora che non c’era nulla da fare se non rassegnarsi alla realtà della sua natura.

Complice la stanchezza e le forti emozioni della giornata, il morso della fame ebbe su di lei la meglio. Si sentì allora pervadere le narici da un profumo intenso che le sembrò irresistibile, accorgendosi solo allora che l’albero su cui era salita era un melo. Subito il colore vivo dei rossi frutti la attirò a sé, invitandola a cibarsene. Abbandonandosi a quel semplice gesto che le dava gioia per il solo fatto di essere viva, addentò la mela, e soddisfatta, cadde in un sonno profondo.

Quando aprì gli occhi, si vide circondata da una folla di persone. Erano i suoi sudditi che la stavano acclamando con canti di festa.

«La principessa Sharbat è stata ritrovata», proclamavano felici ad alta voce.

Sharbat si guardò le mani, dove ancora giaceva un pezzo di mela. La fonte cristallina in cui vide riflessa la sua figura le rimandò un’immagine nuova, di fanciulla nel fiore degli anni.

Lasciandosi andare come le aveva suggerito l’aquila, finendo di porsi domande dettate dalla ragione ingannevole e seguendo semplicemente la sua natura, era riuscita a compiere il miracolo: la sua muta la aveva avvolta sotto pelle, come un germoglio che attendeva di sbocciare al risplendere del primo raggio di sole.

Da quel giorno, gli abitanti del regno di Shangri la avrebbero per sempre rispettato il serpente, messaggero di immortalità, e il frutto della mela, alleata di saggezza.

Il malvagio mago Ravana, spodestato dal trono, sprofondò nell’ira più nera, ma non poteva ormai più fare nulla: la legge della natura aveva vinto sull’arroganza del suo potere, e fu così costretto a ritornarsene da dove era venuto, sprofondando insieme all’oscuro regno di Shatan nel cratere più profondo del mondo.