Un viaggio virtuale attraverso i démoni del Sommo Poeta
Racconto pubblicato nell’antologia A.A.V.V. « Gente di Dante »- Tabula Fati editore:👉https://carlomenzinger.wordpress.com/2021/09/05/la-gente-di-dante-e-arrivata/amp/

«Benvenuti in Other Worlds Journey, la piattaforma di realtà virtuale più diffusa al mondo, l’unica attraverso la quale potrete viaggiare nelle dimensioni aumentate, comunemente chiamate ultraterrene. Partendo da Ready Infernum Player, se riuscirete a non cadere preda di demoni e fuochi fatui, dopo aver superato le Malebolge e la melma dei gironi più putridi, passerete per Purgatorium e accederete infine a Heaven, lo stadio più avanzato del gioco. Solo un finalista tra tutti gli eletti, acclamato dalla suprema schiera degli angeli, potrà avanzare fino all’ultimo cielo, la Candida Rosa, che decreterà la vittoria finale. Prima di procedere, dovrete scegliere il vostro Alias, e quindi inserire tutte le credenziali.»
Il buco nero di un silenzio concavo risucchia il suono metallico del voice over, che per pochi istanti disegna una spirale nella mia mente. Un formicolio in contropelo, appena percepibile, risale in sordina la mia mappa fisica, simile a un’increspatura sopra un’epidermide di carta velina. È il flusso elettronico generato dal mio nuovo monitor d’ultima generazione, interamente wearable, una sorta di tatuaggio digitale che mi permette di indossare il pc come una seconda pelle. Appena sfioro l’opzione “configura”, sulla parete dinanzi a me si proietta una gigantesca finestra che la modalità split-screen subito scompone in una miriade di altre piccole icone, decollando come l’elica di una scala a chiocciola impazzita, in un gioco di scatole cinesi che ha ormai smarrito il coperchio.

La grafica ha un retrogusto inquietante, un quadro surrealista alla Magritte dove nuvole di omini fantocci, meri pop up rimbalzanti, indossano grigie bombette. Solo l’impronta del mio indice, una volta effettuata la scelta, conferirà a una di queste ombre la fisionomia desiderata, infondendole finalmente vita. Quando la mia immagine s’imprimerà su uno di questi Golem con facce da Pack-man, il loro corpo da yo-yo si trasformerà nel mio Avatar, pronto a varcare finalmente the Door, la soglia d’Infernum. Diventerà allora un cavaliere senz’armatura, seppur con qualche macchia e un po’ di paura, che mi rappresenterà lungo il cammino di questa misteriosa Via Oscura.
Decido d’istinto e, senza esitare oltre, opto per la nuvola di destra che, come trafitta dal fulmine di un dio pagano, fa un balzo dal monitor animandosi in 3D e assumendo progressivamente le sembianze del mio volto. Gigantesche lingue di fuoco lo proiettano con propulsione da lanciamissili dritto al Gate di partenza, che ha il volto incoraggiante di una Sfinge. Schizza come se fosse diretto sull’orbita di Marte, ma raggiunto l’epigramma di benvenuto si ferma di colpo, e legge con fermezza:
La via dell’eccesso conduce al palazzo della saggezza.
Riconoscere il celebre aforisma di William Blake mi regala un brivido d’emozione, una vertigine di grandezza e al contempo una sensazione d’impotenza, da Zarathustra spodestato che ha tutta la parvenza di trovarsi sul ciglio di un precipizio. Rispondo d’impulso, quasi di rimando, citando a mia volta per darmi coraggio la frase di maggior impatto dell’ultimo rap del Dj Santiago, il mio preferito. Un breve spiraglio di saggezza, pillole frullate nel mixer alcolico di un presente che si fa filosofia, la storia di sempre rivisitata da un’altra prospettiva, l’ultima acrobazia di uno skate runner di fortuna, graffiti scrostati su muri di periferia.
Se ne vanno gli uomini ad ammirare gli alti monti (…), e trascurano se stessi.
Parrebbe trattarsi della giusta intuizione, ho trovato da solo la chiave d’accesso al labirinto intricato di cunicoli a rovescio, che è l’imbuto profondo della montagna più antica del mondo. Diversamente, nessun’altra opzione mi sarebbe stata data.
Con mio sommo stupore, il Gate mi spalanca davanti le sue fauci dorate, e due maestose ali d’aquila dividono le acque ormai placate, lasciando passare immune il mio Avatar. Una fiammella laterale si proietta allora sulla parete di pietra dinanzi al mio viso, un masso megalitico di un antico tempio gallico. È il nuovo monitor, e su di lui la lingua biforcuta del fuoco getta lapilli che si traducono in luminosi simboli, misteriose lettere di alfabeti sconosciuti, disegni come geroglifici, fino a ricomporsi nella forma di una quercia, un alto albero dalle mille ramificazioni.
Pongo un freno alla mente, lasciando che sia il mio occhio interno a leggere tra le righe di quest’alfabeto cosmico. Pare che l’espediente funzioni, così la chioma dell’albero si traduce in una nuova cloud dove appaiono altre istruzioni.
«Come i rami di questa quercia, la realtà che percorri è solo una delle possibili rotte verso l’ultima meta. Potrai sorvolarla su altri piani paralleli, seguendo i consigli telepatici del Guru Virgilium. Non lasciarti ingannare dalla Selva Oscura: la via è segnata, ma solo la fede nel tuo pensiero ti guiderà come una cometa. Dai gironi alle Sfere più alte, procedendo nell’alambicco cosmico, lentamente avverrà la purificazione dell’anima, in ascesa sulla spirale del tempo, attraverso il DNA di Sapienza, la duplice elica ti condurrà sino alla soglia dell’Aleph, verso la più pura, suprema forma di Conoscenza»
Per un attimo riesco a strapparmi dal risucchio magnetico di questo vortice che mi ha fagocitato, riemergendo in superficie come da un’apnea profonda. La voce suadente del programma si è insinuata nelle mie orecchie, come se da sempre conoscesse la mappa auricolare per le mie sinapsi più profonde, e da lì procede tentacolare scavandosi cunicoli che mi penetrano nel cervello, fino ad insediarsi come un serpente nella mia materia più grigia.
Tutto questo misterioso modo di parlare, che non riesco a decifrare, sembra in qualche modo corrispondere al caos della mia attuale vita, proprio nel mezzo di un disordine confusionale che non pare avere capo né coda. Persino gli astri mi suggeriscono di fare attenzione: se Venere è in opposizione, mal ne incoglie anche a Marte, più che mai irascibile nella sua più rissosa quadratura.
Varcata la soglia dei trentatré anni, eccomi vagare ramingo nella condizione di lavoratore precario ad onta di lauree, master e specializzazioni, costretto a elemosinare un qualsivoglia mestiere nell’abbagliante miraggio di tirare a campare. Stare a galla è l’esigenza, resistere la parola d’ordine. In un orizzonte così desolante, l’amore è solo un’allucinazione che nemmeno mi azzardo a sfiorare da lontano, vista la mia stagnante situazione: rinnegato e profano, esiliato a tempo indeterminato dal sacro mondo lavorativo.
Sesso virtuale, idealizzato amore: un chiasmo perfetto e quasi biblico, se delle somme beatitudini vogliamo fare una hit parade e collocarmi ai piedi più estremi della classifica. Perciò, la lussuria è diventata una gloria che bacia pochi eletti, un’altera dea bendata sorella di Fortuna, ossessione di ogni notte che non mi lascia più tregua. E dunque sia: viva la Selva Oscura, qualsiasi sublimazione carnale, anche metaforica, che mi permetta di evadere dalla consueta, scontata mortificazione dei sensi, penitenza siderale di un ascetismo coatto. Le fiamme del peccato mi attirano molto di più di un’immutabile condizione monacale cui sembrerei attualmente relegato.
Inutile esitare, altrimenti. Freno l’emozione e digito velocemente le mie credenziali, prima che qualcuno abbia l’ardire di piratarmi anche il profilo. Almeno fino a quando il mio Avatar vanti un residuo diritto d’asilo, meglio evitare d’indurre qualche hacker in tentazione, considerata la mia nobile stirpe, antico lignaggio di non poca eccezione.
«Immetti la password!» mi sollecita una serpe di passaggio. Senza oltre indugiare, col dito a guisa di scalpello faccio mille scintille che si tramutano in incise favelle
Login: durante-passato e presente
Username: dante.junior@alighierimoderni.it
Pw: fromhelltoheaven

Non faccio in tempo a seguire il richiudersi della schermata dietro all’orizzonte della dura pietra, che dinanzi a me vedo proiettarsi la sagoma del Sommo Poeta. Un balzo mi sale al cuore, lesto ne attiro a me lo sguardo mostrandogli il viso, quando mi avvedo che è solo un’icona priva di colore, una presenza sottile che mi si affianca mite con la funzione di mero consigliere, discreto più di un silenzioso Vate.
«Non ti è concesso il tempo d’indugiare!» m’incalza. «La clessidra del tuo orologio interiore scorre a correnti alterne, infestata da sabbie mobili, infidi serpenti e ipnotici stordimenti. La meditazione dovrà essere talmente profonda da riuscire a superare ogni più avverso scoglio, come l’inganno nemico della percezione. Ti sarà d’aiuto il ritiro dai sensi, tua sola bussola l’assoluta concentrazione, l’esilio al centro di te stesso. Rifuggi da ogni passione!»
È proprio quello che temevo. Francamente, di nuovo quest’abdicazione! Proprio adesso che il gioco di diavoli, lo schiocco di fruste e il suono ambiguo dei lamenti stanno giocando da detonatore per ogni mio più represso pensiero, immagini di perversione che danzano libere. Provo allora a rilanciare, nell’intento simulato di escogitare un espediente retorico che abbia parvenze di funambolico.
«Forse è proprio questo lo scopo occulto del gioco. Combattere i problemi irrisolti, affrontando a pieno viso le passioni ancora latenti, misurandosi con esse in campo aperto, come l’impavido lottatore che mostra al pubblico i suoi aguzzi denti,» replico lesto.
«É un possibile indizio. Ma dovrai scegliere sollecito il campo in cui schierarti con le virtuali armate, per sconfiggere ogni remota ombra di vizio. Politica, poesia o amore: quale passione scegli per rilanciare le tue personali crociate sulle vanità che si contendono il tuo cuore?»
Colgo al balzo l’occasione, rendendola ghiotta come il più peccaminoso baccanale.
«Certamente l’amore, un problema la cui ombra si perpetua di padre in figlio, tramandandosi sulla mia nuova generazione. Devo purificare ogni più pericolosa tentazione, combattendola sul suo campo, per sconfiggerne il dannato demone.»
L’affermazione gli appare a sufficienza credibile, almeno da convincerlo a tuffarmi nel vivo di una situazione limite, usandomi momentanea clemenza. Ed è così che questo primo step del mio viaggio virtuale si traduce in un girone interamente carnale, dove lussuria, vizio e passione abbondano copiosi come mele sull’albero dell’Eden, indifferenti all’ipotesi di un giudizio universale. E già che ci sono, e sul tema vanto arretrati da lupo famelico, gli propongo di affrontare tutti insieme i miei pregressi problemi, invitandolo ad allestirmi uno spudorato banchetto pantagruelico.
Ecco allora comparirmi dinanzi, in un letto di rose cosparso d’incenso, cinque meravigliose donne dalle vesti discinte. Intonano coi loro corpi una danza di membra e intrecci, particolarmente eloquente nella sua categoria, che non posso trattenermi dall’interpretare molto esplicitamente, come un’impudica e lasciva allegoria.
Taide, l’illustre prostituta, dirige i giochi del grande baldacchino. Come gatta su un trono che scotta è assisa altera e miagola al vedere le fusa delle altre, che lentamente muovono le loro curve più vorticose delle onde del mare, le une tra le braccia delle altre, come una volta a Lesbo nell’isola. Sono le bellissime Regine, le voluttuose Cleopatra, Didone, Semiramide ed Elena.
Accolgo la nuova scoperta come un fanciullo che rinviene la marmellata, e volteggiando sulla giostra dei balocchi mi tuffo leggero nell’alcova morbida di quell’onirica ammucchiata, compiendo mille vortici e altrettanti affondi fino a completa sazietà, prima che della morale sopraggiungano i rintocchi, lo sguardo severo e il richiamo all’austerità. Sul volto invisibile del mio nocchiero si schiarisce allora un fil di voce, e il fiume è suo malgrado costretto a rientrare nell’argine, forzosamente placato.
Fingo sdegno e ribrezzo, imponendomi un rigoroso contegno. Ma il gioco non pare terminato: dopo il piacere, è d’uopo il pentimento. L’espiazione sopraggiunge necessaria, con ogni mezzo mi s’impone di perseguirla, pena la perdizione dell’anima, l’eterna dannazione. Mi cospargo il capo di cenere in segno di penitenza, pronto anche alla mortificazione.
Quand’ecco affiorare una Dama Nera, il volto velato da una strana maschera, tutta vestita di una rilucente guaina. È circondata da diavoli, ma affinando la vista ne appaiono i corpi angelici dalle fattezze muliebri, e tra loro sorride altera, bella e al contempo temibile, nobile come una fiera.
Con aria da dominatrice non mi lascia alcun tempo per profferire parola. Mi afferra i polsi per stringerli in una morsa del suo laccio, e come cane che fedele segue il suo duce col laccio al collo, in silenzio mi guida fino a una croce, dove lentamente mi assicura le membra, stringendo forte fino al midollo.
«Sono Beatrice. Ma non quella remissiva che hai sempre sognato, bensì la sua più degna vendicatrice. Lo sguardo pietrificato di Medusa, fissato sullo scudo di Atena, mi suggerisce la pena che più ti si addice: bondage, fustigazione o respiro mortificato? Solo affliggendo il corpo, potrà esserti mostrata la via della luce.»

Per aspera ad astra, penso mio malgrado. Sospiro con un fil di voce: se il mio Avatar subirà la punizione, la mia anima risplenderà forse nella finale redenzione. È questo l’autentico significato di “passione”: qualcuno che s’immola nel patire in nostra vece, come in tutta la miglior tradizione. La sorpasso a destra, sorprendendola d’un fiato.
«Tutti e tre i supplizi, te ne prego, mia dolce Mistress.»
È troppo tardi però, per accorgermi che mi sono fregato.
Lo stupore è nella manica il mio asso segreto, scacco matto ai tempi supplementari, con un ultimo calcio di rigore. Si fa così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare. Solo che in questo caso, sono io la palla in gioco.
Meglio rischiare, mi sono detto, e che a finire tutte le cartucce in un sol colpo sia qualcuno che veramente sappia sparare. Dritto al cuore e non se ne parli più.
Ma ecco che nel punto più supremo in cui avviene l’esecuzione, dopo le prime sferzate sulla carne, le lacerazioni, le urla, il dolore e il buio più estremo, ho il fiato rotto in uno stato rarefatto di piacere, simile a un’estatica alterazione, e a questo punto avviene l’inverosimile. La mia mente si apre su uno spiraglio di luce, ed è allora che comprendo il confine più sottile con la mistica visione: una terra di mezzo in un oceano di frontiera, una porta girevole da cui traspare il riflesso argenteo, supremo e rarefatto, della luna.
Il dolore è la chiave per l’accesso all’ultima Soglia, laddove giace la mistica, divina fusione.
La Candida Rosa è lì, tra i petali gloriosi del coro angelico, in un’aulica e ineffabile dimensione.
Ed ecco che nelle orecchie mi risuona lo squillo trionfale di mille trombe, le cui note guizzano nell’aria come tra le onde sciami impazziti di anguille. Ho vinto il premio più estremo: il programma è esploso, dissolvendosi nell’etere, tra i frammenti di asteroidi e mille scintille.
Da oggi, di nessun Inferno varcherò mai più la soglia: mi attende il paradiso terrestre, sarò l’eroe più acclamato del virtuale gioco che nel futuro più prossimo apparirà solo come un rudere, un curioso reperto di un tempo rupestre.
Essendomi sempre dichiarato agnostico, devo la mia finale gloria a un’insolita, quanto mai poetica, congiunzione astrale. Certamente l’amore che muove il sole e le altre stelle, ma anche la passione più viscerale, quanto mai volubile, tra due antichi pianeti. Una svolta epocale, come la siderale unione dei due poli dell’impossibile: Venere e Marte in opposizione, del nuovo millennio i saggi profeti, in una rinnovata, eterna e carnale, congiunzione.
Premiazione del 16.09.21 a Firenze, presso l’Auditorium del Consiglio Regione Toscana- Associazione Creati-Vita




