Un racconto thriller a sfondo storico ispirato dala famosa e omonima poesia di Baudelaire messa all’indice, PREMIO DELLA GIURIA al concorso letteraro BAUDELAIRE, VERLAINE, RIMBAUD E I POETI MALEDETTI

Al centro del podio, un fascio di luce lambiva le fattezze sinuose delle due donne seguendo la prospettiva che dal basso le raffigurava statuarie. Due dee divenute accidentalmente mortali per trovarsi adagiate, con aria indolente, sui cuscini di quel talamo nuziale. Il pallore della loro pelle regalava fremiti, infuocando gli animi. Sembravano il frutto di un’allucinazione: giacevano insieme, completamente nude.
Monsieur Larousse inarcò lievemente il sopracciglio sinistro. Fece uno sforzo per evitare di attorcigliarsi il baffo impomatato e con un colpo di tosse si schiarì la voce, cercando di ritrovare il suo classico contegno. Nessuna emozione avrebbe dovuto trasparire in un momento così cruciale.
« Chi offre di più? ».
Silenzio. Gli astanti trattennero il fiato precipitando la sala in un imbuto di attesa, come prima di un verdetto. D’un tratto, qualcuno si fece avanti dal fondo.
«Chiunque osi offrire un solo franco per quella vergogna sarà maledetto!» tuonò la voce di un uomo il cui volto rimaneva avvolto nell’ombra. «Quel quadro è dannato perché direttamente ispirato da Satana!»
Lo sconcerto invase la sala, che esplose in un fragoroso boato. La fronte di Monsieur Larousse iniziò a imperlarsi di sudore: non sarebbe stata cosa facile portare a termine il suo compito. Finse indifferenza, come se il Savonarola che aveva appena minacciato scenari apocalittici fosse il solito pazzo in cerca di un brandello di fama, uno di quelli che gli capitavano sotto tiro alle aste migliori. Sebbene il doppiopetto di sartoria, il cilindro e il bastone alla moda inglese gli conferissero un aspetto tutt’altro che trascurabile.
Afferrò il martello che decretava la fine dei rilanci e si preparò a terminare quella manche diabolica. Era sicuro di aver raggiunto il massimo delle offerte, perciò era meglio chiudere prima di crearsi altri problemi.
« Venticinque mila e uno, venticinque mila e due, venticinque mila e tre… »
« Trentamila franchi.»
Stava decretando con la frase di rito la definitiva aggiudicazione dell’asta, proclamando il vincitore, quando alzando lo sguardo sul pubblico, la voce gli venne meno.
Il vincitore lo fissava immobile con aria di sfida, dall’angolo della bocca leggermente socchiusa faceva capolino un sorriso sinistro. Era lo stesso di poco prima, l’uomo dal vestito elegante e il cilindro all’inglese.
***
Se solo avesse svolto le sue ricerche quindici anni prima, si sarebbe convinto di essere pazzo.
Ma i fatti gli si erano svelati in quell’esatta successione, proprio quell’anno, il 1882. A quindici anni dalla morte di Charles Baudelaire, la cui vita dissoluta e le opere messe all’indice non erano state di certo un mistero, si erano avverate delle strane circostanze legate proprio alla famosa tela, da lui ispirata, rimasta nell’ombra per tutto quel tempo, e apparsa alla luce solo allora. In concomitanza del suicidio di quell’uomo.
Il quadro dell’infamia era stato commissionato al pittore Courbet da un importante diplomatico turco che se l’era tenuto nascosto dietro una tenda, per contemplarlo in privato nelle sue stanze segrete, fino a quando i debiti di gioco non lo avevano costretto a metterlo all’asta. Solo a quel punto, era riapparso. Ma esporlo in pubblico sarebbe stato assurdo, per esplicito oltraggio al pudore, perciò quell’asta aveva dovuto svolgersi a porte chiuse, tra la ristretta cerchia di amici e di conoscenti fidati che frequentavano il mondo dell’arte. Eppure nel frattempo la fama del quadro si era talmente diffusa a macchia d’olio, che non destare l’attenzione della polizia era stato quasi un miracolo. Nonostante tutto, quell’infiltrato ce l’aveva fatta. Non solo era riuscito a eludere il setaccio dei controlli tra la ristretta cerchia dei partecipanti, ma dopo aver tentato di sabotare l’evento, non pago, se ne era persino aggiudicato l’acquisto. Con l’aggravante che, solo a un anno di distanza, era morto in circostanze misteriose. Pareva si fosse suicidato, ma non si escludeva l’ipotesi dell’omicidio.
Solo scavando nei dettagli di tutte quelle ombre, Monsieur Larousse avrebbe scoperto a fatica che si trattava di una serie di coincidenze talmente puntuali, da non poter essere considerate casuali.
Alla morte di Baudelaire in preda ai morsi della sifilide era seguita la pazzia di Courbet, da lui stesso rappresentata in quel terribile autoritratto. Quindici anni dopo, con la ricomparsa del fatidico quadro, si era svolta quell’asta così animala, che a lui era toccato condurre, cui aveva fatto seguito la morte del suo sinistro aggiudicatario, l’uomo col cilindro. Sembrava assurdo, ma tutti i principali protagonisti di quella storia erano stati colpiti da una specie di maledizione. Doveva sicuramente esistere una logica in tutto ciò, ma la chiave per la soluzione continuava a sfuggirgli. Che il prossimo condannato fosse lui?
Molti anni prima, i componimenti di Baudelaire erano stati messi all’indice, e il poeta era stato condannato per oltraggio al pudore. I Fiori del male erano riusciti lo stesso a venire alla luce epurati di alcuni dei sonetti più compromettenti, ma il solco era ormai segnato. La fama di Baudelaire come poeta maledetto era ormai diventata irreversibile. Quegli scritti erano il frutto di una perversione morbosa, e chiunque avesse dato loro seguito, entrando in contatto col loro torbido spirito, si sarebbe contaminato. Canti saffici, inni oscuri che invocavano all’angelo nero, odi allucinate scritte sotto l’effetto di oppiacei, paradisi artificiali privi di alcuna morale, conturbanti visioni, tormento e afflizione. Le donne, in particolare, erano al centro di questa turpe visione. Raffigurate come Muse di una luce incontaminata, e al contempo trasformate in corrotte Menadi.
Il piacere femminile, la vera profanazione. Quel poeta aveva osato andare oltre il divieto divino, nei millenni consolidato. Laddove lo stesso Tiresia era stato ammonito dalla dea Giunone: era tabù, parlare dell’estasi femminile. Chiunque ne avesse celebrato il tripudio supremo sarebbe stato cancellato dalla storia, reso cieco, vilipeso e screditato. Se poi si fosse trattato, addirittura, di quello omosessuale, allora l’artista avrebbe decretato la sua stessa fine.
Era perciò una risoluzione necessaria: il quadro ispirato da quella poesia dannata doveva venire distrutto. Del resto, era persino stato reietto dal Salon des Refusés.
Eppure, più cercava di dipanare il filo contorto delle motivazioni che potevano aver spinto l’uomo col cilindro ad acquistare il quadro da lui stesso messo all’indice, più le limitate risorse del povero Monsieur Larousse si ritrovavano ad annaspare nel buio. Dal giorno in cui quell’uomo aveva fatto irruzione nell’asta, la vita gli era precipitata addosso, e non riusciva più a ricomporne i cocci.
Colto dallo smarrimento, aveva persino tentato di contattare l’autore di quell’opera così cruciale. Ma l’omertà che aleggiava sulla tela si era fatta col tempo più densa, e il suo artefice negava ogni confronto. Era diventato un rivoluzionario, impegnato a creare disordini politici, ma si vociferava che la sifilide se lo stesse lentamente divorando in segreto, così come aveva fatto col suo amico poeta. Il perfetto contrappasso per quei cantori dell’impudicizia che avevano osato dar voce, e persino un volto preciso, alla Lussuria. L’Inferno se li sarebbe ripresi tra le sue fiamme.

Quel giorno, però, Monsieur Larousse era finalmente venuto in possesso di un importante indizio.
Il nome dell’uomo dal cilindro non era più un mistero. Ernest Pinard, il procuratore che nel 1857 aveva inquisito Baudelaire sulla scia del processo già condotto nei confronti del collega Flaubert, aveva fatto carriera, diventando membro illustre del Consiglio di Stato. Pareva che però possedesse un segreto. Impugnò il coltellino che teneva sempre con sé, e dopo aver rimosso il sigillo in ceralacca, aperta la busta a lui indirizzata, ne lesse d’un fiato il contenuto.
La missiva parlava chiaro. Mentre snocciolava a voce alta, come in un rosario, le parole che dipingevano via via un quadro nuovo degli eventi, a lui fino ad allora sconosciuto, si sentì risollevare da tutte le peggiori premonizioni che durante quel lungo anno aveva scongiurato. Ora l’incubo era finito e quella firma aveva finalmente acquistato un volto.
Apparteneva a Lucienne Stevenson, un francese di origine britannica appassionato di arte, noto per la sua ricercata eleganza e le influenze tra gli uomini di potere, tra cui proprio il procuratore Pinard.
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