LA CATTEDRALE DI SAINT DANIEL – Natale Horror 2020-

(Dedico questo breve racconto a tutti gli innocenti che hanno perso la vita a causa dell’assurda follia dell’estremismo più cieco. A tutti i cristiani perseguitati per il loro credo religioso. Agli ebrei sterminati nei secoli. E in generale a tutte le vittime di qualunque fanatismo: Buon Natale a tutti, e che un Angelo vegli sempre su di noi…)

Era il ventiquattro dicembre, e la neve cadeva lieve sul piccolo borgo di Tour Saint Daniel. I contorni del bosco e i bordi delle case sembravano ritratti in una stasi immobile, accarezzati dal tocco dell’inverno, protagonista di quella silenziosa metamorfosi.

Non appena i fiocchi si posavano sui rami degli abeti e degli altri alberi spogli venivano trasformati in cristalli di ghiaccio che ne orlavano lucenti i margini.

Un manto intonso ricopriva le case, una teoria ininterrotta di caminetti spiccava dai tetti come tante torri su cui dominavano, maestose, le guglie della protagonista di quell’immagine silenziosa: la cattedrale del borgo.

Dall’alto del colle su cui si ergeva, sembrava un’antica sovrana assisa sul trono. Una monarca enigmatica che celava tra le sue vesti, nelle pieghe segrete delle cripte come nell’oscurità delle sue navate, un’ombra di mistero il cui cono riverberava sin dalla facciata.

Tutto sembrava sottendere uno strano gioco di contraddizioni, delle opposte polarità che nascondevano un qualche insondabile, eterno conflitto. L’austerità della pietra si poneva in contrasto con la vertigine di grandezza che ammantava l’intero edificio e parimenti il miraggio di eternità delle colonne protese verso l’infinito veniva poi negato dal continuo richiamo al pentimento che riecheggiava, come una pesante eco, dai bassorilievi del pulpito.

Ma soprattutto, nessuna spiegazione logica poteva trovarsi ai demoni e ai mostri di pietra che dall’alto dei contrafforti si affacciavano sul borgo e sull’interno delle navate. Pareva volessero catapultarsi nell’abisso, quasi a voler rivaleggiare con la fiera potenza in cui erano ritratti gli angeli delle vetrate.

Con fare minaccioso protendevano i loro artigli, le narici dilatate come per gettar fuoco, lo sguardo demoniaco rivolto verso un unico obiettivo: il presepe.

Era pronto per essere mostrato ai fedeli che fuori dall’ingresso si accalcavano per l’inizio della cerimonia, un drappo di velluto bianco lo separava dal pubblico, a breve si sarebbe a loro disvelato nella perfezione della sue fattezze. I protagonisti erano statuine viventi. O così lo sarebbero stati, forse ancora per poco.

La campana suonò il rintocco, il portale fece per aprire i battenti quando un singulto tellurico fece tremare tutto il borgo. Allora si udì come un boato scaturire dal cratere della terra e un fremito gelido pervase l’intera cattedrale.

Il tempio della cristianità venne invaso da un’ondata di terrore.

Dal centro concavo di quel vortice oscuro emerse una voce. Aveva la consistenza di un boato, il tono graffiante di una fiera, un’eco magmatica di morte e tormento. Un’ombra che mozzava il fiato sul nascere senza neppure lasciare uno spiraglio allo spavento.

«Io sono l’Anti-Natale. Sono il terrore, il furore della notte che uccide, l’estremismo senza ragione, lateismo privo di compassione, l’oblio del compatimento, la follia più spietata, l’atrocità più accanita, la strage di tutti gli innocenti, l’assoluta negazione della vita».

Un vortice di panico travolse la folla circostante disperdendola nel bosco atterrita, e finalmente i demoni, incontrastati, si liberarono dalle loro prigioni di pietra.

Il manto niveo che faceva da sipario alla scena della natività oscillò nell’aria. Fu un attimo, come un frammento di un ultimo sospiro prima dell’ecatombe. Repentino arrivò il sangue che ne tinse il velluto in un’onda purpurea e anomala che straripava da ogni argine, varcando i confini dell’atroce, esplodendo in un furore spietato così come quell’urlo acuto che ne emerse da lontano, come un terribile ruggito.

I demoni liberati si scagliarono sugli animali: un’operazione sconclusionata di macello che pareva avere come unica finalità il dissanguamento, lo strazio delle bestie, lo svilimento di ogni forma di vita, come comandava colui-che-aveva-dato-quel-comandamento. Un taglio netto alla gola, nessuna esitazione. Agonia e tormento.

Fu poi la volta di pecore e pastori, l’Arcadia mitica, i mansueti delle scritture e la sacralità antica. Li percossero a morte col loro stesso bastone, le ossa frantumate, i femori e crani divelti, la schiena spezzata, caddero al suolo senza vita.

Strangolarono quindi nell’acqua la piccola lavandaia. Nella mani ancora teneva il suo catino, il bucato che sapeva di pulito, supplice li guardava incredula, mentre annegava senza pietà. Nemmeno riuscì a emettere un ultimo vagito, un’ultima implorazione di carità.

Infine si diressero sull’arrotino. Ne afferrarono violenti la lama circolare, e roteandola sul cranio come un masso infranto nella roccia ce lo conficcarono brutalmente, spaccandogli il naso, dividendogli in due la faccia, sfigurandolo totalmente.

Di tutto stavano facendo scempio quando l’orrore crebbe, sino a divenire talmente grande da riuscire a travolgere perfino se stesso. La spirale di morte era diventata un’eclisse, un buco nero auto fagocitante, così forte da risvegliare persino le anime più pure, congelate nella contemplazione, che immobili se ne stavano a cantare.

Dalle vetrate luminose si staccò il coro degli angeli. Lo guidava Michele, con la spada sguainata. Una scintilla di fulmine scaturì creando un cerchio che al suo interno imprigionò tutti i demoni, scaturì un incendio dalla sua lama infuocata. Carbonizzandoli tutti, li risospinse da dove erano venuti, nel cratere dell’Inferno.

Raccolse dunque le carni martoriate, con un tocco di spada fermò l’emorragia, le ossa riunì ricomposte tutte, ritornò in vita l’allegoria.

Il drappo in velluto ridivenne candido, il ruscello gorgheggiò soave, la stella cometa si posò sulla grotta, il fiore del giglio spuntò nella neve.

Alle vetrate ritornò il coro degli angeli, intonando un trionfo di vittoria: i fedeli si accalcarono per la veglia, la neve cadeva sul borgo soave, le campane suonavano per la vigilia.

Era quella la pura immagine della pace, nel limpido riflesso di ogni stella, sinfonia di amore che mondava ogni ferita, infinita luce che tutto ammanta.

In quel momento scoccò la Mezzanotte Santa.

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Il racconto è pubblicato da LetteraturaHorror nell’antologia “Un Natale horror 2020”

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