Sono sempre stata scettica: capirai, mi dicevo, la luna: cose da fattucchieri superstiziosi.
Già. Per noi delle latitudini mediterranee, popoli legati alla solarità apollinea, le dissertazioni a soggetto selenitico sono al massimo astrazioni poetiche. Dillo alla luna, per dirla con le parole di Vasco Rossi.
Questioni fantastiche, anche quando a invocarne la forza onirica sia una strofa di Leopardi o un verso struggente di Shakespeare.
Da sempre, la rotondità enigmatica del volto lunare è stata lo specchio fedele dell’animo umano, una silenziosa compagna a cui affidare i nostri più segreti turbamenti, ansie e paure al primo posto.
Alle stelle si consegnano i sogni, alla luna i timori.
Forse a causa del suo sguardo compassionevole, come un vecchio saggio che raccoglie le ansie senza mai giudicarle: nell’osservazione distaccata di chi contempla gli stati emotivi risiede il potere della trasformazione.
Lo si vede anche nei Tarocchi, per i quali la luna (arcano maggiore XVIII) simboleggia il presagio funesto di un inconscio incontrollabile, che rischia di riemergere dalle profondità della psiche sommergendoci in un’onda anomala.
Il chiaro di luna: quell’aura di malinconia dalla sfumatura agrodolce che accarezza la nostra anima ammantandola di un velo di nebbia, una nota vibrante di rimpianto, la stessa ritratta nei notturni di Chopin, Beethoven e Debussy.

Al suo cospetto, l’ilarità giocosa di ogni clown si trasforma nella lacrima di Pierrot, le corde graffiate del mandolino sono quelle di un cuore solitario che vive di sogni e di ricordi.
Se le stelle sono il futuro a cui protendere fiduciosi, la luna è il nostro passato che ritorna ciclicamente a guardarci.
Eppure c’è qualcosa che va oltre anche gli stereotipi letterari.
Gli effetti del nostro pianeta satellite, come un’appendice a noi legata da un invisibile cordone ombelicale, sono fisicamente stupefacenti se solo osiamo spostare l’orizzonte un po’ più a nord.
Mi è bastato guardare le maree di Biarritz: chilometri di mare che si ritirano nell’arco di un solo giorno, per un solo battito di ciglia.
Questo è il mistero.
E se noi donne, il cui regno prediletto è da sempre l’acqua che lambisce la terra, fossimo ugualmente attratte, esattamente come quelle maree, da un medesimo riflusso?
Il nostro animo è ricolmo di emozioni liquide, pronte a straripare con la forza di un fiume al solo sguardo fugace di chi le sa scuotere, innescandone il nascosto potenziale segreto.
Ecco allora la spiegazione.
Eureka!
Non siamo lunatiche – come per secoli ci hanno voluto etichettare con una definizione superficiale, al contempo scaramantica e sbrigativa – bensì creature sensibili, fisicamente legate a una ciclicità naturale che ci appartiene in quanto creatrici, madri, compagne
dallo stesso sguardo benevolo della luna.
Eppure c’è qualcosa che va oltre anche gli stereotipi letterari.
Gli effetti del nostro pianeta satellite, come un’appendice a noi legata da un invisibile cordone ombelicale, sono fisicamente stupefacenti se solo osiamo spostare l’orizzonte un po’ più a nord.
Mi è bastato guardare le maree di Biarritz: chilometri di mare che si ritirano nell’arco di un solo giorno, per un solo battito di ciglia.
Questo è il mistero.
E se noi donne, il cui regno prediletto è da sempre l’acqua che lambisce la terra, fossimo ugualmente attratte, esattamente come quelle maree, da un medesimo riflusso?

Come lei, accogliamo senza mai giudicare, tendiamo le nostre braccia per perdonare, ascoltiamo prima ancora di parlare.
E come la luna, nella fase più colma della sua pienezza, diventiamo insofferenti.
Troppe emozioni da governare che ci scuotono inconsapevolmente.
Ci sono giorni in cui non siamo fatte per le mezze misure. Giorni in cui non abbiamo tempo: vogliamo stare spente. Giorni fatti di bianco o di nero, niente sfumature intermedie.
Lasciateci stare, in quei giorni!
Lasciateci essere noi stesse, almeno in quei giorni.
Che sia soltanto la luna la nostra fedele amica, la più saggia delle confidenti.
Un’alleata al nostro fianco.
In quelle notti dove la nostra natura felina può rivelarsi e i lupi danzano liberi nelle foreste siderali, lasciateci cantare.
Sognando la magia delle fate, la solitudine dei boschi, il profumo della brezza marina e i millenni sommersi delle dimensioni incantate che solo la prepotenza del vostro mondo ci ha, per sempre, rubato.
Eravamo regine nella nostra terra da cui, prevaricando il nostro diritto all’immaginario, ci avete spodestato.