FANTASMI IN RADIO The dark side of the moon

Philippe Brussard era uno scettico nato. Il suo lavoro di Dj lo aveva tuttavia abituato a stare sempre in contatto con gente di diversa estrazione sociale, gusti, convinzioni, credenze e orientamento politico. Per cui, col tempo, la sua indole iper razionale si era smussata, e lui era diventato possibilista su certi temi che prima avrebbe relegato a mere superstizioni.

Non credeva di certo ai fenomeni paranormali, ma si era pressoché convinto che chi ritenesse di esserne stato testimone oculare fosse in qualche modo in buona fede. Esistono suggestioni psicologiche, si diceva, che hanno la forza di piegare la volontà umana in direzioni imperscrutabili, al di là del controllo cosciente su una singola azione.

Durante tutti quegli anni alla radio, del resto, ne aveva sentite di belle.

Non si trattava solo di commentare le hit parade del momento o le canzoni over the top, che avevano mietuto in una sola settimana il record di ascolti. A lui piaceva parlarci, con le persone, per tirarne fuori i segreti inconfessati, quelli che è più facile confidare a un pubblico tanto diffuso quanto anonimo protetti dalla corazza impalpabile dell’etere.

Era come se l’effetto della radiodiffusione fungesse da amplificatore alle singole personalità e le spingesse a uscire dal seminato quotidiano, dalla rassicurante zona di comfort dove solitamente i suoi ascoltatori vivevano rintanati. E così spesso gli confidavano cose che in circostanze diverse non avrebbero svelato nemmeno ai loro migliori amici.

Quella mattina, dopo aver varcato come ogni giorno la porta a vetri del grande palazzo moderno che delimitava l’ingresso della sede dove lavorava, l’iconica Queen Radio di Lugano, non si pose dunque troppi problemi.

Come sempre, era il più mattiniero di tutti. Adorava arrivare un quarto d’ora prima dell’orario ufficiale di apertura per godersi in santa pace i piccoli rituali che costituivano l’inizio della nuova giornata. Dotare le stanze di luce naturale (detestava i neon e la freddezza delle lampade a led lo innervosiva), accendeva i vari pc, preparava con cura meticolosa la strumentazione che gli sarebbe servita in trasmissione.

Certo: con l’avvento dell’informatica era praticamente cambiato tutto, ma lui custodiva con venerazione maniacale i vecchi cimeli del passato, primi fra tutti i preziosissimi mixer che lo avevano svezzato, tirandolo fuori dall’anonimato. Un posto speciale nel suo cuore, poi, lo deteneva lo storico giradischi di cui non era mai riuscito a disfarsi. In sua compagnia era solito ascoltare appartato, nell’orario di chiusura, i migliori vinili dell’era d’oro del jazz. Tutta un’altra musica, si diceva, più calda, lievemente graffiata dalla puntina del lettore che sfregava il disco come un archetto pizzica le corde di un violino. C’era pure il registratore analogico che aveva resistito all’avvento del digitale, e ora spiccava come un ingombrante pezzo di modernariato tra il resto dell’arredamento hi-tech. Decontestualizzato in maniera presuntuosa.

La cosa che inorgogliva Philippe, era che funzionava ancora a meraviglia, come se non fossero trascorsi trent’anni da quando aveva fatto il suo ingresso in radio come accessorio imprescindibile della nuova strumentazione all’avanguardia. Gli piaceva metterglisi di fronte e guardarlo come si guarda un televisore: i due sportelli trasparenti dominavano la scena come piccoli monitor dove era solito inserire le cassette, incorniciati dai tasti rettangolari con sopra i vari simboli del triangolo, delle frecce e delle doppie virgole.

Ogni tanto si divertiva a fare un viaggio nel tempo, per sentirsi come quando era adolescente, ed era il numero uno a creare compilations registrando dal vinile le canzoni più in voga del momento per trasferirle su nastro. Le sue creazioni erano uniche, preziose matrici che viaggiavano di mano in mano sotto i vari banchi di scuola, rendendolo popolare tra gli amici e facendogli conquistare senza troppi sforzi i cuori delle ragazze più inaccessibili.

Così la sera precedente, preso da una vena nostalgica, aveva rinunciato all’aperitivo con gli amici per starsene da solo, in compagnia di un sorso di Whiskey per lasciare andare i pensieri liberi. Poi, aveva deciso di mettersi una delle sue vecchie “cassette”, un vecchio nastro che lo aveva accompagnato sino al debutto in radio, per riascoltarsi i primi incisi dei The Doors, alcuni pezzi dei Led Zeppelin e i brani più cult dei Pink Floyd. Colto da improvvisa ispirazione, aveva deciso che era arrivato il tempo di duplicarlo, nel caso qualche raro ma non impossibile intoppo lo potesse rendere prima o poi inservibile.

Fu così che si rese conto di essersi dimenticato di spegnere il registratore. Una svista alquanto insolita. La luce verde che usciva dalla fessura come un piccolo laser lo avvertì della dimenticanza. Fece per spegnerla, e così fu colto da nuova sorpresa. A guardarlo fisso col suo laser alieno, a parte la spia verde, c’erano due pulsanti pigiati che seguitavano imperterriti a non alzarsi dalla tastiera. Due denti cariati disallineati col resto dell’arcata, due note stonate, un semitono stridente e disarmonico.

Il simbolo circolare di un pallino rosso spiccava come un marchio di fuoco sul tasto a sinistra di quello, ugualmente pigiato, segnato col triangolo. Il play e il record erano rimasti attivi per tutta la notte.

Pensò subito a una disattenzione. Ma sapeva che non era possibile. Perché aveva volutamente lasciato la cassetta da incidere accanto all’altra, il nastro matrice, e sapeva che il registratore avrebbe funzionato con la solita precisione di sempre: una volta terminata la registrazione, si sarebbe spento da solo, riallineando in automatico i due tasti abbassati.

Invece qualcosa aveva dovuto incagliarsi durante il percorso di risalita. Il problema era capire esattamente quando, come e perché. Sicuramente, ne avrebbe trovato la spiegazione.

Premette veloce lo stop. Con una determinazione velata da ansia attivò la funzione rewind. Calcolò che restava un buon quarto d’ora al termine della registrazione, quando la sera prima si era allontanato chiudendosi la porta alle spalle. Gli sarebbe bastato scorrere indietro il nastro di quello che corrispondeva all’incirca al primo terzo del lato della cassetta, riavvolgendo la bobina di sinistra, e avrebbe capito cosa era successo. A quale punto esatto della registrazione era avvenuto l’intoppo.

Fatto, pensò. Premette di nuovo play, per riascoltare. Le prime note di Roadhose blues, che ben conosceva, lo rassicurarono, e così proseguì a piccoli colpi di forward, verso il brano successivo. Anche Stairway to Heaven pareva filare liscia senza stranezze. Era quindi la volta di The dark side of the moon, in assoluto la sua preferita.

“… The end of the world is coming soon

Sobbalzò. L’intonazione della voce, che pur conosceva a memoria, pareva diversa dal solito. Come se un impercettibile sibilo si fosse interposto tra quelle meravigliose parole apocalittiche.

Seguitò ad ascoltare con maggior attenzione.

The sky is falling”… “On the dark side of the moon”.

Stava quasi per procedere innanzi con la carrellata successiva, il dito già pronto sul tasto del forward, quando l’interferenza che prima gli era apparsa quasi impercettibile si fece sempre più marcata. Tanto da non poterla ignorare. Una voce sibilata, come il frullio scomposto delle ali di un uccello notturno si era insinuata nel nastro, scivolando all’interno dello stereo per lasciare la sua indelebile traccia nel bel mezzo della canzone.

“… People killing

Subito dopo quelle due parole la udì.

«Sono il corvo. Sono l’ombra nera che uccide. L’uccello rapace che stride nella notte più cupa. Nessuno di voi mi potrà sfuggire. Non vi lascerò mai pace».

Deglutì amaramente, avvertendo un brivido di sudore scivolargli lungo la schiena come una lama gelida. Sembrava dannatamente reale, quella voce. In senso spettrale. Torbida, oscura, ombrosa, ma soprattutto sanguinaria. Minacciosa nella sua essenza sibillina.

Ci doveva pur essere una spiegazione, si disse tentando di riassumere il controllo di sé con una profonda inspirazione diaframmatica, come gli avevano insegnato a yoga. Scansionò mentalmente il ventaglio delle possibilità che la ragione gli offriva, consapevole che erano molte le risposte a sua disposizione. Ma proprio nel momento in cui stava recuperando la sua consueta flemma, l’occhio gli cadde sul quotidiano di quella mattina, e cadde definitivamente in preda al panico. Sembrava assurdo.

La notizia era riportata a lettere cubitali sul titolo della prima pagina. Un terribile omicidio senza movente era stato compiuto quella notte, tra le mura domestiche di una lussuosa villa della sua tranquilla città.

Il professor Giacometti era un anziano filologo, noto in tutto il Canton Ticino per l’immensa filantropia, l’impegno civico, le numerose fondazioni benefiche che aveva finanziato con laute donazioni. In pratica, era considerato una specie di monumento locale, da tutti benvoluto. Non aveva nemici, apparentemente. Ma soprattutto niente pareva giustificare la furia omicida che gli si era scagliato contro.

Le fotografie mostravano un corpo riverso nel sangue, sette impietose pugnalate scagliate in maniera scomposta l’avevano deturpato, ponendo fine alla sua venerabile vita. Philippe non fece in tempo a soffermarsi su quel particolare numerico, che sin da subito aveva destato la sua curiosità come un tarlo, perché qualcosa di più terribile catturò la sua attenzione con l’intensità di una calamita.

Il sigillo apposto su quell’assurdo scempio era una maledetta firma d’autore, così riportava il giornale. Accanto al cadavere, intriso nel sangue della vittima, c’era un disegno stampato su carta d’Amalfi.

Le grandi ali nere spiegate a volo d’angelo. Il becco giallo prominente, come l’insanguinato canino di un cannibale.

The crow, il corvo, era la finta identità del misterioso assassino.

Si accasciò sulla sedia sapendo che in quel momento solo lui era al corrente di una verità tanto assurda quanto spettrale.

Per prima cosa, doveva trattarsi di un serial killer. In secondo luogo, non si trattava di un assassino secondo i comuni parametri della realtà fisica.

Punto più inquietante di tutti: quella registrazione era la prova di entrambe le deduzioni.

Le gambe gli si fecero di ricotta quando sentì su di sé il maledettissimo fardello di essere divenuto l’unico testimone, sebbene indiretto, di quella brutta faccenda. Si sedette sulla poltrona di pelle. La sua adorata Chester che usava per le brevi penniche pomeridiane.

Gli girava la testa. Un ammasso informe di parole riemerse dal passato gli si stava di colpo riproponendo alla memoria, come una nube densa che gli annebbiava la vista, premendo forte fino a strizzargli le meningi. Lo aveva sentito da qualche parte, che era possibile. Ma non gli aveva dato mai credito, scettico com’era. Adesso, invece, ricordava con chiarezza. Era un fatto del passato che riguardava il suo collega Lucienne. Lui sì che era succube di maghi, santoni e finti profeti. Credeva in tutte quelle pagliacciate più simili al Carnevale che alla cosiddetta spiritualità della nuova era di cui si facevano al contempo portavoce e proseliti i nuovi adepti.

Dopo la perdita della madre sembrava aver smarrito la ragione, così un giorno si era deciso a intervistare in radio un famoso medium. Uno dei più popolari nel cosiddetto channeling dai mondi paralleli, forse il principale portavoce dei messaggi di luce tanto in voga nella sua generazione, dopo l’avvento della New Age. Ricordava benissimo come Lucienne gli avesse raccontato dettagliatamente le tecniche tramite le quali il medium, ai suoi occhi uno dei tanti imbonitori in circolazione, gli avesse elencato le tecniche più in voga della nuova medianità.

Non si usavano più i famosi tavolini. Niente mobili volanti, teatrali colpi sui muri e finestre improvvisamente aperte. Niente effetti speciali, tipo ectoplasmi lievitanti accanto ai relativi veggenti immersi nello stato di trance.

Sembravano riammodernati, questi spiriti. Al passo coi tempi, avevano completamente cambiato gusti. Come se il Sessantotto fosse passato anche in quelle incognite sfere, e ne avesse scombussolato gli assetti. Ora, in maniera più moderna e meno plateale, si servivano di mezzi di comunicazione più sottili, palesandosi attraverso la scrittura automatica e la comunicazione radiofonica.

Proprio così, gli aveva sentito dire. Il caso più eclatante di tutti, sebbene fosse stato tenuto sotto chiave dalla Chiesa, si diceva fosse stato quello di un famoso Padre, noto per l’acclamato scetticismo in tema di spiriti, che dopo aver invocato il padre defunto in un momento di sconforto, ne aveva udito la risposta impressa sul disco lasciato inavvertitamente girare nel grammofono.

«Mediatici, questi spettri!», ricordava di aver rilanciato scherzando, col suo solito cinismo. E così era scaturita la lite. Non era riuscito a trattenersi dal definire tutti quei medium sfruttatori del dolore altrui, venditori di speranze, parassiti di una finta fede. Probabilmente esagerando, solo in quel momento se ne stava rendendo conto. Perché finta o non finta, per molta gente la speranza rimaneva comunque un carburante fondamentale per sopravvivere in questa vita.

Ma ora tutto stava assumendo un altro tono. Rivedeva quella scena come poco prima aveva riavvolto la sua cassetta, al rallentatore della memoria, e tutto gli appariva diverso. I protagonisti erano i medesimi, ma quelle parole avevano un significato completamente nuovo. Era come se qualcuno ne avesse improvvisamente cambiato la colonna sonora. Sulla scena le luci si erano fatte più tenui, le ombre erano diventate più lunghe.

Ma soprattutto, lui stesso si sentiva diverso. Adesso, aveva paura.

Che il fantasma avesse deciso di servirsi proprio di lui e della sua radio per diffondere il suo messaggio assassino? Come regolarsi? Doveva avvertire immediatamente la polizia ma temeva che lo prendessero per pazzo. E poi, come raccontare l’accaduto?

«Scusate: ho letto il giornale. Credo di conoscere l’identità dell’assassino: si tratta di un fantasma che ieri notte ha confessato in radio la sua intenzione di uccidere …»

Non stava di certo in piedi. Come fosse poi riuscito un essere incorporeo a compiere un delitto di siffatta crudeltà, che richiedeva un grande dispendio di energie, vallo a sapere. Neanche a farlo apposta gli sembrava proprio di stare cercando di indagare il lato oscuro, da sempre insondabile, della Luna. Quello che le esperte di astrologia, che spesso gli capitava di intervistare in radio, identificavano con Lilith: la luna nera. Che quell’oscura nube nera si fosse scagliata contro il Professor Giacometti per contrappasso, a causa del noto scetticismo, e ora il suo cono d’ombra si stesse riverberando contro di lui, fino a inghiottirlo?

Si rivedeva le icone delle dee orientali più sanguinarie, Khali e Lilith, che lui aveva sempre deriso come fenomeni da New Age, e persino le Furie accanirsi contro di lui con una forza sovrumana, per smembrarlo facendolo a brandelli. Il lato femminile della Luna si era risvegliato, e il Corvo ne era il suo fedele servitore. Aveva trovato la chiave di lettura di quell’atroce delitto: si trattava di un oscuro demone. Fagocitato dal suo stesso cinismo, si sentiva come beffato dal destino, e al contempo atterrito: anche lui, a sua volta, aveva rinnegato il suo lato oscuro.

Squillò il telefono.

Afferrò tremante il ricevitore rispondendo in automatico con una voce franta.

«Queen Radio … tra poco. Saremo in diretta. Desidera?»

 «Sei sempre convinto che chi crede ai fantasmi sia solo uno stupido?»

Era la voce divertita di Lucienne. Si era preso la sua rivincita.

******

HAPPY HALLOWEEN!!!

(Potete leggere gli altri racconti thriller di Halloween su: DELIRIO, BRIVIDI AL NERO DI LUNA http://https//amzn.to/3DLEC98 )

DELIRIO, Brividi al nero di Luna, Bre’ Edizioni