L’Amore Indecente

“L’attesa del piacere

è essa stessa piacere”

(Gotthold Ephraim Lessing)

Affondo la mia testa nella concavità più intima e profonda del suo corpo, per odorarne il sapore acre e insieme penetrante. Un’onda inebriante m’invade l’anima, strappandomi dalla realtà di questo letto incandescente in cui fino a poco fa mi sembrava di galleggiare, per sprofondarmi nell’oceano nebuloso di un piacere assoluto. È il suo profumo, la sua essenza, la sua parte più animale eppure contemporaneamente quella più femminile e vera. La mia lingua fa mille percorsi sulla sua pelle, disegnando geografie sconosciute in un mandala immaginario che, lo so, da qui a poco svanirà per sempre, lasciandomi solo un pugno di sabbia, come il miraggio di un sogno.

Ma adesso no. Adesso il mio corpo è tutto una calamita di desiderio, proteso come una corda vibrante nelle mani esperte del suo musicista, in una parentesi dilatata di ascolto, per assaporare anche il più piccolo fremito, il più piccolo sussulto di godimento che gli abissi delle nostre anime possano far emergere in superficie, avvolgendoci con le loro onde oceaniche.

Stare con lui è come nuotare nella nebbia più densa di un lago misterioso, riemergendo e poi soffocando nuovamente, annaspando nel magma fumoso da cui le mie membra vengono scaraventate improvvisamente in un eden di piacere, imminente ed inevitabile, per poi esplodere in boato ruggente.

Chiedo tregua alla spirale del presente, la sua visione è come un miraggio allucinato di cui conservo l’istantanea, ma ogni volta mi sembra solo la diapositiva sbiadita di un’immagine furtiva, rubata al tempo. Una fuga da tutto, da me stessa in primo luogo, dalla mia vita, dai ricordi incalzanti di un passato ingombrante, dall’assillo della certezza del futuro che si fa sempre più pressante, in una continua partita a scacchi con la mia effimera bellezza, un tiro ai dadi con la sorte e un continuo rilancio nel vuoto dell’incertezza.

Assaporo la sua pelle, ovunque così scura, così candidamente bianca in quell’unico punto, il più vulnerabile del suo corpo. Questo è sentirlo mio. Sapere che il suo odore mi appartiene come se fosse l’unica linfa vitale da cui trarre luce, e che senza potrei ammalarmi di arsura, inaridendo nelle sabbie mobili di un deserto che anelano per una singola goccia di pioggia.
Questa concavità umida, pregna del suo odore, è la mia oasi segreta. Potrei starci per ore e ore, persa nello smarginamento dei miei confini, fondendomi col suo corpo. Sono rugiada che scivola via dolcemente, un fiume che annulla lentamente i suoi argini per irrompere nei vortici del suo fluido maschile, denso e spesso come lava.

Verrà la morte e avrà i suoi occhi, e allora forse, la supplicherò di farmi sua.

L’acqua della vasca mi scorre davanti, implacabile. La guardo scivolare via incolore, sbiadita dal filtro della mia retina, che anziché imprigionare quell’immagine mobile davanti a sé la lascia andare indifferente, dimentica del suo passato, ignara del suo presente. Come se fossi impermeabile alla sua storia. Come se non fosse stata la stessa acqua che solo qualche ora prima, la notte precedente, ha bagnato entrambi sotto alla stessa doccia.

Quando l’ho insaponato tra le mie braccia, trattenendo disperatamente gli ultimi attimi di un’intimità che come sempre mi stavano già scivolando dalle mani, assieme alla nuvola di vapore che svaniva dal bagno.

Sciacquarmi la faccia più volte, con acqua gelida e tonificante, forse ora potrebbe funzionare, per risvegliarmi alla realtà. Riconducendomi alla mia vita di sempre. Io e la mia immagine riflessa nello specchio. Una donna di mezza età, certo ancora avvenente, piena di una sensualità matura e prorompente, ma lontana da quello che vorrei essere per trattenerlo per sempre, per legarlo a me.

Vorrei essere maledettamente più giovane, maledettamente più bella, di quella bellezza pura e perfetta senza sbavature, come una delle mitologiche creature appartenenti al suo misterioso mondo della notte, fatto di modelle, ballerine, uomini che volteggiano sui tacchi a spillo come farfalle, veneri nere che calcano disinvolte i panni pericolosi di Mistress.

Un mondo parallelo che sino a oggi sembrava non avere nulla a che vedere col mio orizzonte patinato e perbene, o quasi. Quello di una professionista in carriera, di una mamma assennata, di una moglie premurosa. Tutto molto prevedibile e spento, un odore immobile di naftalina, un lento scivolare verso il tramonto, come quando nella pentola calda viene progressivamente alzata la temperatura ma tutto sembra stabile, una catastrofe silenziosa di un caos calmo eppure imminente.

Il mio equilibrio precario aveva bisogno di evadere da sé stesso, o presto sarebbe naufragato da solo, travolgendo inesorabilmente tutto. Una crisi di ordinaria follia era proprio quello che mi ci voleva per evadere assennatamente, senza troppi ribaltoni e discretamente, da questa ripetitiva monotonia.

Ma non prevedevo che anche la più innocua delle passioni potesse in me dilagare come un turbine inarrestabile, e allora sarebbe stato molto difficile porre le briglie al cavallo imbizzarrito delle mie emozioni. Senza contare, che questo continuo vivere tra parentesi, dilatando all’infinito le brevi sospensioni della vita di sempre, mette le ali solo per un istante alla mia quotidiana depressione. Riempire i puntini vuoti, indovinare gli spazi assenti, lanciare il cuore oltre il confine, addomesticare il buio, leggere oltre l’invisibile: questi i miei nuovi talenti, per non soccombere all’amarezza dello specchio che rischia di farsi ogni giorno sempre più impietoso.

Come tutte le storie clandestine, non abbiamo una festa ufficiale, non esiste uno speciale San Valentino per le passioni abusive, gli amori indecenti devono imparare a galleggiare nell’ombra, vivendo sospesi nel vuoto, alimentandosi in autocombustione, al confine estremo con la paura e l’incertezza, in una terra di nessuno che, pur regalando la breve vertigine del Paradiso, ha tutto in comune con l’oscura valle dello Stige.

Ma io non sono la giovane Persefone, ed è ormai da tempo che la mia più fulgida primavera ha lasciato il posto a un’estate matura che mi ha regalato i suoi migliori frutti, pur nel solco di qualche prima ruga.

L’assillo dell’età mi incalza, e a volte credo che non voglia lasciarmi scampo. È una lotta ad armi impari contro il tempo che non concede alcuno spiraglio al mio desiderio di rivalsa, alla mia volontà di afferrare il futuro per ricondurlo al mio volere, rivoltandolo come il fondo dello specchio per mostrargli quella che ancora sono dentro. Una ragazzina a cui il mondo deve ancora svelarsi nel suo incanto. Gli stessi sogni, la stessa energia di sempre, ma ora moltiplicati per mille, grazie alla forza dell’immaginazione che unita all’esperienza ha risvegliato il torpore della mia pelle trasformando il desiderio in realtà, con la forza lunare delle antiche maghe.
Qualcosa di antico e potente si è risvegliato dal fondo del mio animo. So che oggi posso cavalcare la forza dirompente della mia passione per ingannare il tempo, e in quella terra indistinta che si trova oltre la soglia del piacere, domare la spirale di ogni illusione, per condurre a me il mio amante, e da lì portarlo in un’altra dimensione, fatta di sogni e desideri.
Ci basta stare insieme per poco, e le lancette dell’orologio si fermano. Per alcuni istanti galleggiamo in un vuoto aereo, i confini della stanza sembrano dilatarsi in nuovi orizzonti, ed ecco la danza fluida delle emozioni prende il controllo sul reale, in un minuetto fluido di immagini che danno linfa a nuove sensazioni.

Stralci di vite passate si affacciano sfuocati alle soglie delle nostre finestre, e come fantasmi che aspettano di prendere voce si insinuano nelle pieghe del nostro piacere, respirandone le energie sottili, nutrendosi dei nostri fremiti, come in una segreta metamorfosi.

Possono agganciarsi le anime? Possono unirsi come i liquidi, mescolandosi e dividendosi per poi ritrovarsi mutate, l’una con un nuovo frammento rubato all’altra? Non ho risposte a questa domanda, ma so che da quando lo conosco mi capitano cose a cui non so dare spiegazioni logiche, posso solo ascoltarne la lontana eco come un vento che soffia indistinto, intuendone la direzione, seguendone il filo di speranza come un bimbo che rincorre a perdifiato un aquilone nel cielo.

Quando ci stacchiamo, un pezzo di lui continua a vivermi dentro. Allora sono come abitata dal suo fantasma, dalla voglia di vivere la vita come farebbe lui: un predatore della notte, che travolge tutto con la sua energia maschile, vorace e prepotente, con l’impudica sfacciataggine di chi non crede a niente se non a sé stesso.

Così, alla fine, ho capito. La nostra alchimia forse aveva uno scopo più ampio. Al di là del gioco del nostro piacere, che pure mi ha liberata, aprendomi gli occhi a nuovi, possibili orizzonti. Universi paralleli che una volta neanche avrei avuto il coraggio di ipotizzare.

Ho capito che l’età di mezzo è come una porta girevole nel labirinto della vita. Un antico archetipo, un bivio simbolico che pochi si azzardano a conoscere: i più preferiscono proseguire imperterriti nella linea retta del tempo, senza concedersi scelta, come una condanna di una silenziosa sentenza già emessa. Mentre nel disegno già abbozzato di questo albero, ogni istante è un grande tronco da cui procedono infinite, possibili ramificazioni. L’età di mezzo è proprio questo: un passaggio segreto che ti permette di girare l’angolo e proiettarti in avanti, entrando per sempre nella vita matura e rinunciando a tutto, oppure accettare la sfida e fare un salto nel vuoto. Per scoprire che esistono invisibili scale laterali da cui risollevarti, cunicoli segreti che possono condurti fino a dieci, quindici anni prima. Se le imboccherai senza fare troppe domande, ti potranno guidare fino a una fonte limpida, dove immergendoti riemergerai più bella.

Eccomi: posso ancora sembrare una ragazzina, se voglio, quando lo voglio.

I cerchi concentrici del mio albero interiore segnano solo un punto in più nel traguardo della vita, sfumature di sofferenze che mi sono guadagnata, come medaglie d’onore sul mio petto.
È forse dunque questa la forza di Eros? Uno specchio del sé che ti appare quando meno te lo aspetti, nel mezzo del cammino di tua vita, per liberarti dalle vecchie certezze e gettarti in un territorio dell’ignoto, dove, se ci crederai, potrai trovare il deserto o la terra promessa.

Un angolo di paradiso a tutti accessibile, ma dove pochi riescono a sostare per molto. Dove la meta è un punto ideale in continuo movimento, e gli equilibri sono precari, perché nell’assoluto del tutto non può esistere il tradimento.

Ci apparteniamo senza appartenerci: questo il grande miracolo. Due rette parallele che a un certo punto si scontrano, venendo a collidere, per un breve viaggio cosmico. Due particelle atomiche che, incontrandosi, sprigionano infinite scintille di luce.

In fondo, è da lì che tutti veniamo. In questo piccolo, invisibile miracolo, è racchiuso il mistero eterno della vita.


Il nuovo romanzo di Silvia Alonso, già finalista al premio Nabokov, di prossima pubblicazione.