Noi: ballerine di pole dance. Due metri sopra al cielo.

“Abbiamo due vite: la seconda inizia quando ci accorgiamo di averne una sola”.

Una frase che mi rispecchia appieno… Tranne il fatto che, personalmente, penso che anche in questo caso il tre sia il numero perfetto. Il minimo sindacale da cui partire, voglio dire. Proprio come in quel mitico film con Troisi…

Perché la verità è che sin da piccoli dovrebbero insegnarci che fare la muta come i serpenti non solo è possibile, ma altamente auspicabile per spiccare il volo verso noi stessi. Dirci che dentro di noi abitano più “me”, oltre che a un Io onnipresente, molto spesso limitante, che ci influenza col peso del passato. Mentre diventare il nostro futuro non solo è una scommessa, ma un’avventura sempre avvincente, un viaggio infinito verso nuovi orizzonti.

Se solo un anno fa avessi incontrato a un qualche Luna Park dell’onirico, un posto come quelli di alcuni film di Woody Allen, una zingara con la famosa sfera di cristallo, non avrei creduto alle sue parole.

Eppure so perfettamente cosa avrebbe fatto: strofinata la pietra filosofale della chiaroveggenza, mi avrebbe predetto voli pindarici non solo nella più alta dimensione astrale, ma anche in quella, molto più concreta, del reale. « Una strega moderna » avrebbe detto… nella sua sfera mi avrebbe vista volare libera nell’aria come Jonathan Livngstone, ma senza neppure allontanarmi mai da casa mia…

Ecco la potenza di questa moderna alchimia. Che può letteralmente trasformare la canzone in realtà: il cielo in una stanza è proprio la giusta espressione per tradurre il senso profondo e tutta la forza evocativa della mia nuova danza.

La pole dance è stata una scoperta, una rivoluzione dell’anima, qualcosa di intrinsecamente nuovo, al di là dei confini di quello che solitamente si pensa. Certo: molti di noi la vedono dall’esterno, attraverso il filtro di Hollywood e delle interpreti del grande schermo: da Demi Moore a J. Lo, è tornata alla ribalta come l’ultima tendenza del momento. Qualcosa per farsi un fisico da urlo, per intenderci.

Sennonché, proprio su quell’urlo bisognerebbe soffermarci, per capirne la profonda importanza nella nostra realtà. Perché ognuna di noi in fondo ha la sua verità. E tutte sappiamo, al di là delle convenzioni, che non ci iscrive a pole solo per avere un fisico migliore. Sarebbe come darsi al parapendio semplicemente per respirare aria buona… o fare tuffi da dieci metri per saggiare la temperatura dell’acqua.

E qui infatti arriva il bello. Solo dopo averla provata ci si accorge che la comunicazione di massa la vuole camuffare, sminuendola, come uno sport limitato al mero aspetto fisico… quando la verità, che normalmente è invisibile agli occhi, grida da sola vendetta. Una profonda, colossale rimozione dell’Ombra è sottesa dietro a questo equivoco, perché come sempre ci sono cose che fanno paura.

La verità è che noi “streghe” moderne non ci siamo arrese, e siamo ritornate a volare. Sostituendo il palo alle scope, perché da sempre abbiamo un profondo legame con questa nuova, ma secolare Alchimia. Prima di tutto, la magia dello spin. Non occorre aver letto tutti i romanzi di Paolo Coelho per sapere che alcuni religioni esoteriche (come ad esempio il sufismo) basano l’incontro col divino sulla rotazione. Prova ne sono i dervisci rotanti.

Lo spin siamo noi da bambini che ci perdiamo nella bellezza del tutto, in una fusione cosmica che è gioia del vivere. Mi è bastato guardare per caso il mio frugoletto di quattro anni sulla poltrona girevole di casa, improvvisata a giostra, per capire. Erano le montagne russe del divertimento: difficile che gli giri la testa in questo totale abbandono. Eppure, per quanto mi riguarda, fino allo scorso anno mi bastava solo qualche minuto sul Carosello coi cavallini per darmi un senso di nausea, che neanche fossi stata in balia delle onde dell’ Atlantico.

E poi c’è la vertigine. Innalzarci così in alto ci avvicina agli angeli, e proprio in questa nuova dimensione, guardando il mondo dall’alto, possiamo scoprire di avere ali invisibili. Scoprire la sostenibile leggerezza dell’essere, il vero volto incantato del femminile…

Il mondo ci ha sempre volute pragmatiche e coi piedi ben saldi a terra. E noi ci siamo prese la nostra rivincita. Tuffandoci nel vivo, con la testa tra le nuvole perché solo così si conosce meglio la realtà.

E soprattutto per combattere l’Ombra. Come vere guerriere sui nostri destrieri alati. Il terrore, il panico, quel senso di vuoto che ci afferra alla gola nel momento in cui, palo tra le mani, osiamo varcare quelle immaginarie Colonne d’Ercole. Trovandoci faccia a faccia con la nostra metà: l’anima o l’altra parte del cielo. Quella forza densa e pulsante che ci preme dentro e urla, e ci fa dire: “Ce la devo fare!”

Superare la paura è andare oltre la propria ombra, non lasciarsi inghiottire da lei e da tutti i fantasmi che affiorano, ma conoscerla come una saggia compagna di vita: a volte pedante, ma utile purché non le si ceda il timone. E soprattutto: imparare a lasciarsi andare alla corrente, come a un atto di fede, nell’abbandono.

E poi c’è pure un lato inedito e magico. Non ci avrei voluto credere nemmeno io, ma il famoso “outside”, e più ancora il “crucifix”, quella terribile posizione che ti mette a testa all’ingiù e hai la sensazione di romperti il collo, altro non è che, nei tarocchi, l’antica figura dell’Appeso. Una carta importantissima per il sapere esoterico: colei che viene a mettere sottosopra la tua vita, costringendoti a rimettere in discussione tutte le tue certezze pregresse, letteralmente “upside down” come nella canzone, per costringerti a superarti. Ecco compiersi una nuova muta: la nascita di una nuova se stessa.

Dopo un anno di volteggi con le gambe per aria, e spesso a testa all’ingiù, posso dire che il cammino è ancora lungo, ma perlomeno “il Dado è tratto”. Ho scoperto un’altra me. O forse una parte di me, che da sempre era nascosta. Dall’alto del palo gli orizzonti si aprono. Il futuro è lì: all’altezza dei tuoi occhi. Basta avere il coraggio di staccare una mano, allungarla nell’aria e… afferrarlo. E scoprire che alla fine era molto più semplice farlo che pensarlo.

 

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