L’amicizia è un valore sacro, si sa.
E trovare l’amica giusta alle assolate latitudini monegasche, particolarmente gelide in materia di friendship, credetemi: non è cosa né facile né secondaria!
Perciò, quale migliore occasione per tenersi strette le poche ma ottime nuove amiche (monegasche, francesi e internazionali che siano) che festeggiare allegramente all’italiana in occasione della Festa della Donna? Unendo l’utile al dilettevole, il sociale al conviviale, il femminismo con la femminilità, la tradizione con la modernità. In un colpo solo, una serata unica e indimenticabile in onore dell’amicizia tra donne.
Entusiasta della mia iniziativa, di cui mi sono subito fatta promotrice, ho dovuto però fare subito i conti con la realtà. Era un po’ che non vedevo la mia migliore amica, e tra i miei impegni di mamma moderna moderatamente mattacchiona e i suoi di serissima professionista integralmente all’antica (nel senso di ineguagliabile stacanovismo lavorativo) l’incrocio dei rispettivi calendari avrebbe decretato un possibile incontro per la prossima recessione degli equinozi. Che essendo io appassionata di oroscopi avrebbe pure buttato bene, garantendoci di levarci di torno l’influsso negativo di Saturno, nell’eventualità.
Fatto sta che, tra una cosa è l’altra, mi sono accorta all’ultimo momento che non potevo incontrarla così , alla leggera. Non sto parlando della calza smagliata: è un classico per noi mamme, e pertanto porto sempre con me un paio di ricambio in borsetta, assieme al rossetto e alla tettarella del bimbo, perché il fusion, nella vita come nella musica, dà sempre i risultati migliori quando si improvvisa. Mi sono ricordata invece di avere in sospeso diversi regali da farle.
Neanche mi fossi imbattuta nell’ultima bolletta telefonica o in qualche sollecito di condominio, la mia memoria ha fatto un salto nel tempo e ha sobbalzato, registrando diversi arretrati. Avevo lasciato in sospeso un Natale e forse anche qualche onomastico a furia di rinvii, di certo non dovuti alla mia mancanza di buona volontà. Fatto sta che dovevo trovare il modo di farle il giusto regalo. Uno per tutti, che sancisse definitivamente l’importanza della nostra amicizia e tutta la gratitudine che avevo per lei.
Accortami della falla, mi sono comunque munita delle mie armi vincenti: dosi massicce di sana pazienza e una totale dedizione allo shopping sfrenato, di cui ero da un po’ di tempo in astinenza, lo ammetto.
La verità era che negli ultimi tempi, complice lo stress e il correlato aumento di cortisolo nel mio corpo, resistere al mio fianco come migliore amica non doveva essere stato comunque facile.
(Beh: questo credo che potrebbe dirlo anche il mio angelo custode, il cui carico di lavoro è improvvisamente impennato, straordinari inclusi, a parità di salario inesistente. Ma per lui è solo mestiere: se no che angelo custode sarebbe?)
E dunque per salvare il salvabile ed evitare che i miei due angeli (quello reale e quello virtuale) si mettessero d’accordo in coalizione per lasciarmi a piedi, sono corsa subito ai rimedi. Come? Ma con la soluzione che una volta si chiamava “casa e chiesa”. Togliendo la casa di mezzo che qui a Montecarlo non va più di moda, ho riaggiornato tutto con il detto “boutiques e chiesa”. In chiesa: ho messo una candela all’angelo. E nelle varie boutiques ho iniziato la mia personale conquista alla ricerca del migliore regalo per Lucrezia.
E cosa c’è di più eterno dunque, per omaggiare una splendida amicizia, se non lo splendore cristallino di un bel diamante di Cartier? Purtroppo inaccessibile sia per le mie tasche di mamma, che per quelle di ex avvocato, attualmente part-time.
Meglio ripiegare perciò su qualcosa di un po’ meno prezioso ma ugualmente vistoso. Se avete esaurito la pazienza ma non la curiosità, vi darò il famoso aiutino. Eccovi raccontate le mie disavventure alle prese con la fatidica “caccia al tesoro”.
Perché se è vero che “chi trova un amico trova un tesoro”, qui a Montecarlo è anche vero che il tesoro per il predetto amico è ancora più difficile da trovare di quest’ultimo. E non se ne esce! Un vero grattacapo.
***
Mi trovo nei fantastici palazzi adiacenti il nuovo Hotel de Paris. Con i tappeti rossi lungo i boulevard in stile Hollywood e Sunset Boulevard, le fontane che zampillano dollari alla Paperon de Paperoni e il Casinò a me prospiciente. Come una Las Vegas europea in miniatura. Facciamo anche una via di mezzo tra Las Vegas e Parigi.
Solo che ultimamente i palazzi nuovi di Montecarlo, come tutti ormai sanno, sono diventatati la versione moderna e ancora più bella persino di Place Vendome a Parigi.
Anche perché, fateci caso: qui non esiste nessun Hotel Ritz che possa anche solo remotamente portare sfortuna a una qualche principessa, per fortuna. Perché di Lady Diana c’è n’è una sola, e ci è bastata 😦
Ebbene. In questa perla dell’universo chich non mi resta che l’imbarazzo della scelta. Ci vorrebbe una bussola per orientarmi in mezzo a tutti i negozi di esclusive firme che mi sfilano davanti agli occhi. Da dove iniziare?
Forse meglio procedere per esclusione.
Direi subito di accantonare Yves Saint Laurent: non ho nessuna intenzione di comprare scarpe o vestiti alla mia migliore amica. Mi toccherebbe descriverla per farne indovinarne la taglia alla commessa, e il mio francese maccheronico non renderebbe comunque giustizia alla sua figura alta, slanciata e snella. Aggiungeteci poi che è pure bionda, c’è un forte rischio che si arrabbino: lo prenderebbero per l’ennesimo sopruso italiano anche sulla bellezza locale. Un caso esplicito di concorrenza sleale per contraffazione, in pratica. Perché la realtà, invece, è che i nostri simpatici cugini d’oltralpe si sono un po’ allargati con le arie e hanno deciso di dire che tutto ciò che è nostro è pure loro per osmosi, per poi rigirare la frittata accusandoci di contrabbando o appropriazione di pregi.
Prendete ad esempio la Gioconda: sono attivati a dire che Leonardo era francese: un motivo in più per parcheggiarla al Louvre per l’eternità, infischiandosene degli Uffizi, dei diritti d’autore, della storia e soprattutto delle relazioni internazionali con il nostro Paese di Pulcinella.
Ma questa volta non ci cascherò e sarò più forte io. Resisterò: niente azzuffatine con la commessa di turno. Solo stile, rigore, classe, austerità. (E che due scatole!). Aggiustiamo il tiro e diamogli un po’ di brio: visti i colori sgargianti della maxy vetrina, direi di optare per l’evergreen (o il forever multicolor) del negozio di Louis Vuitton.
È talmente vivace nelle nuances fluo, che le borsette esposte sulle altissime mensole sembrano preziosi frutti esotici posti su inarrivabili alberi della giungla. Amazzonia, visti i prezzi proibitivi (che scoprirò però solo più tardi) che ne lasciano supporre l’alto rischio di estinzione in breve tempo.
Entro titubante. Altro che Jane nella giungla di Tarzan: sembro piuttosto un cucciolo smarrito, un qualche Bamby dopo l’incendio o Simba girovago in cerca di uno sguardo di conforto.
Perché questo è proprio il punto. La lettera scarlatta che spicca come un marchio di fuoco sulla mia coscienza.
In trent’anni abbondanti di vita brillante e in parte anche modaiola, non ho mai messo piede per più di dieci minuti in un negozio di Louis Vuitton. E quando l’ho fatto (sporadicamente) non ho di certo avuto intenzioni serie. Sono sempre state brevi incursioni a scopo turistico-culturale.
La verità è una: consapevole di infrangere il principale e inviolabile dogma dell’universo griffato, a me le normali borsette Louis Vuitton, quelle tradizionali di colore marrone scuro con il tipico logo color biscotto e l’iconica texture in tela cerata, non mi hanno mai convinto.
Ce l’avevano tutte, ma dico proprio tutte, le mie conoscenze “perbene” varcata la soglia del menarca, e da lì come must irrinunciabile di tutta un’adolescenza e gioventù griffata (ma ahimè non bruciata) a segnalare come un cartello omologato gusti qualità e virtù delle legittime proprietarie.
Erano quelle stesse ragazze che solo dieci anni prima, tra i banchi di scuola delle elementari, avevano dato ampio sfoggio di tutte le fantasie Najoleari dell’universo immaginabile. Api rosa, margheritine gialle, farfalline variopinte da farmi girare la testa e provocarmi persino starnuti per l’alta inflazione di pollini potenziali nelle aule scolastiche, assieme agli immancabili quaderni di Poochie e Creamy, e le cartelle di Barbie, che ovviamente non potevano mancare nel guardaroba di ogni bambina anni Ottanta. Tranne che nel mio! Un pragmatismo più saggio aveva determinato i miei a soddisfare le mie carenze modaiole con un’esaustiva scorta di vestiti e accessori rosa o blu, in velluto e lana cachemire, scarpe in vernice e gonne scozzesi di ottima fattura (erano d’obbligo nelle famiglie perbene). Ma di vestiti firmati, magari anche solo sintetici, nessuna traccia.
Solo dopo anni di strenui lotte sindacali sono riuscita a scendere a patti: mi sarei guadagnata di tanto in tanto un articolo griffato ove i miei successi scolastici avessero decretato il mio inequivocabile impegno per ottima condotta.
E fu così che, studia che ti studia, il bisogno di vestire Americanino si è progressivamente sostituito con la curiosità di conoscere tutti i segreti del mondo americano: cinema e rock in pole position. Nel frattempo la moda metallara ha fatto in tempo a sorpassare a destra quella paninara, e dunque me ne sono fatta una ragione. Niente vestiti di Najoleari.
E parimenti, fino a oggi, niente borse Louis Vuitton.
Ma un particolare, non trascurabile, è d’obbligo in questa storia. Uno di quelli che fa la differenza. Perché i parametri milanesi dei tempi, per quanto alti, sono comunque incomparabili rispetto al lusso estremo delle attuali boutique monegasche a target internazionale.
E infatti, neanche a dirlo, Louis Vuitton di Montecarlo è il sancta sanctorum delle creazioni più originali, uniche e inconfondibili del mondo. Paragonabile forse solo a Dubai, dove le borsette vengono direttamente confezionate in esclusivissimi packaging di oro e argento, che da soli ci si potrebbero fare dei gioielli, almeno a giustificarne i prezzi stellari, roba da capogiro per intenderci.
E quindi nel varcare la soglia della boutique monegasca di poco adiacente l’Hotel de Paris, tre piani di esposizione con ascensore interno, ignoro che presto mi si sveleranno tutte le meraviglie immaginabili dell’universo della pelletteria… Tutto quello che avrei voluto sapere sulle borsette (hand bag, per le amiche internazionali) e non mi hanno mai detto.
Colta da una specie di sindrome di Stendhal alla rovescia mi viene in mente che, giustamente, potrebbe trattarsi di un segnale inequivocabile: il segno tangibile della svolta. Perché così come la storia è ciclica, anche la nostra vita è dominata da fasi. E per me è dunque chiaro che sia giunto il momento di decretare ufficialmente la fine degli anni di piombo, caratterizzati da privazioni e tabù (tra cui l’acquisto di borsette LV) e di compensare a tutta birra. Prende via un nuovo ciclo, l’età dell’oro, di nome e di fatto, di una vita chich.
Fatto sta che, a proposito di crisi di Stendhal, qualcosa nei comandi centrali del mio sistema nervoso deve essersi inceppato, e anziché svenire per l’estasi dinanzi a tanta bellezza, inizio a correre come una matta da una vetrina all’altra, per esaminare in ogni minimo dettaglio il prototipo unico e irraggiungibile di ogni singolo modello. Borsetta a bauletto versione primaverile (base bianca e loghi variopinti), o tracolla invernale rivisitata modello Chanel (elegantissima nel suo blu oltreoceano con catenella dorata)? E così via. Essere o non essere, il dubbio amletico.
Non l’avessi mai fatto! Ignara del sortilegio sotteso allo sfioramento illegittimo della borsetta senza il preventivo placet della commessa preposta (che, tra l’altro, già si capiva che non era disposta ad accordarmelo) si è scatenato l’inferno.
Allarmi antifurto, antiriciclaggio, antincendio, antiterrorismo, antitrust, anti-tutto e chi più ne ha più ne metta.
– Signora, cosa succede?
Mi apostrofa con aria diffidente lo steward di turno (già, proprio così. Nell’aeroporto internazionale delle borsette più belle al mondo non ci sono solo normali commessi, ma terribili steward addestrati a ogni eventuale attentato).
Il tono è sdegnoso, come se si trovasse davanti l’ultima delle ladre, nella fattispecie la meno scaltra e la meno accorta. Altro che Debbie Ocean, Occhi di Gatto o la bella Margot di Lupin!
– No guardi, non è come crede, deve esserci un equivoco. Stavo solo cercando di mettere in pratica uno dei miei tanti esercizi yoga… quando tutto è suonato.
– Lo yoga… da Louis Vuitton?
– Ehm già. Mai sentito parlare di attivazione della vista? Beh il posizionamento delle vostre borsette sulle varie nicchie esattamente nei punti cardinali è perfetto per la pratica… così ne ho approfittato un po’. Ma mica le posso danneggiate con la sola forza del pensiero!
– No, ma stia attenta a non avvicinarsi troppo, perché scatta l’anti furto…
E che diamine! Neanche fossimo in qualche museo.
Così me la sono cavata ai rigori. E per giunta solo con una mezza bugia, o semi verità che dir si voglia.
Un piccolo sforzo per porre rimedio a una gravissima, inconfessabile lacuna. Qualcosa che non si può ammettere candidamente su due piedi, ovvio, mica glielo potevo dire allo steward!
Men che meno proprio oggi che ho speso ogni sforzo per incarnare il quasi prototipo medio della classica monegasca. Ho un outfit a prova di bomba: tailleur in stretching di Forever Unique London, giacca in pelle di Antiflirt, ultimo modello della scarpe di Guess (aggiudicate in saldo tre al prezzo di due), e persino un magnifico vintage della borsa in vernice YSL, eredità postuma di una lontana parente modaiola.
Quindi non posso proprio permettermi di confessare la mia grave carenza in materia. Rischierei l’additamento a vita, mi potrebbero segnalare come un finta monegasca, forse accusandomi di essere una fake lady, una cospiratrice o quant’altro.
A voi però lo posso dire, anche se un po’, lo confesso, me ne vergogno…
La realtà era che non ho la benché più pallida idea di quanto possa costare, in media, un modello esclusivo di LV. Ma neanche di quale sia il costo base di un normalissimo, banale modello standard. E men che meno ho il coraggio di chiederlo alla commessa o allo steward di turno, visto il modo affabile e simpatico con cui cercano di mettermi assolutamente a mio agio.
Dunque i miei presunti esercizi yoga erano mirati non tanto a un astratto miglioramento della vista, ma a un concretissimo tentativo di scovare il punto occulto dove il fatidico cartellino del prezzo si potesse potenzialmente nascondere. Con i fatiscenti numeri da giocarmi alla lotteria neanche fossero stati dettati da Nostradamus, o meglio suggeritimi in trance da una qualche Cassandra. Perché nel mio caso non c’è proprio niente da fare: del fatidico prezzo neanche l’ombra!
Sono ormai convinta che qualche importantissima legge a tutela dell’interesse nazionale e dell’economia locale abbia stabilito il segreto di stato sui prezzi LV. Vi assicuro: neanche il più esperto degli 007 potrebbe riuscire a intercettarne la cifra, magistralmente criptata da un’equazione matematica che solo Einstein in persona, nel caso, sarebbe in grado di decodificare.
Figuriamoci io: l’ultima delle ipotetiche aspiranti ladre e sicuramente la meno portata per la matematica!
Credo che dovrò arrendermi e cedere le armi. Oppure no. Ma allora ci vuole l’idea giusta.
Con un sorriso sforzato che temo denunci tutta la mia insicurezza in materia, oso avvicinarmi a quella che prima, tra le commesse, sembrava la meno ostile, quella che al suonare degli antifurti non è scattata allarmata con fare poliziesco.
“Ehm. Scusi”
“Pardon?”
“Intendo… non è che studio fisica quantistica. Cioè prima non ero intenta a fare ipotesi su quanti elettroni, protoni e positroni potrebbero trovarsi in un logo LV…”
Mi guarda stralunata. Okay: non posso propriamente definirmi un talento nella divulgazione scientifica, per cui forse è meglio cambiare metafora prima che mi arrestino come sobillatrice dell’ordine pubblico.
Meglio riformulare la frase, cambiando metafora.
“Mi spiego meglio. Cercavo il numero magico. Sa… credo nelle coincidenze junghiane unite alla numerologia. È provato che sia un metodo ottimo per giocarseli qui al Casinò e tentare la vincita”.
Okay: a questo punto credo che avrò più fortuna. Lo sapevo che il tema magia e divinazione avrebbe attaccato, lo fa sempre! O anche solo la prospettiva di vincere alla Roulette indovinando la giusta combinazione, può essere un’ottima leva.
Ma dopo avermi vagamente sorriso, la signorina prosegue imperterrite senza fare una piega. Forse conosce un metodo migliore per vincere al Casinò di quello da me suggerito?
“C’est a dir?”
Cosa vorrebbe dire “Cosa significa?”. Ma questi monegaschi hanno una vaga idea di cosa siano gli studi di statistica e di numerologia applicati al gioco d’azzardo?
E comunque sia, sanno cosa sia un prezzo qui a Montecarlo o no? Forse che gli acquisti qui a LV prescindono dai costi e gli acquirenti, tutti sceicchi di primo livello, non si pongono il problema degli zeri sui cartellini e procedono direttamente a passare la carta di credito?
Quindi chiedere il prezzo è tabù. Non è chic!
Oppure ci sono! Già, che stupida: avrei dovuto capirlo prima.
Deve essere che sono dei saldi: del resto non siamo che ai primi di marzo e, si sa, spesso i saldi di gennaio si protraggono a oltranza. E quello da me adocchiato non sembrava un modello primaverile, dunque potrei provare ad aggiudicarmelo, con un po’ di fortuna.
Illuminata da tale speranza, mi stampo un bellissimo sorriso a trentadue denti, e rincalzo fiduciosa rivolgendomi alla commessa.
“Già, è vero. Come non ho potuto capirlo prima! Sarà sicuramente un’occasione d’oro!”
“Beh, se si considera che è un pezzo unico, nel suo genere sicuramente …”
“È ovvio! Un pezzo unico per un’amica unica… quando si dice cogliere l’attimo: credo proprio che questa non si una coincidenza casuale, ma assolutamente significativa. Basta vederne la fisionomia: blu classico ed elegante con tracolla dorata. Un modello intramontabile, sembra fatto su misura per Lucrezia, sicuramente ci impazzirà. Come dire: la classe non è acqua. Direi che non posso permettermi di lasciarmela scappare”.
“D’accordo: allora glielo porto subito in cassa. Nel frattempo vuole approfittarne per accomodarsi nel nostro salottino per prendere un caffè e un bicchiere d’acqua?”
Incredibile come qui le cose cambino a seconda di come soffia il vento, no? Solo una mezz’ora prima mi hanno guardato con distacco, come una specie di viandante di passaggio non degna di grandi attenzioni, e ora sono di colpo ascesa alla categoria delle clienti considerevoli a cui riservare un esclusivo trattamento d’eccezione, nel salottino d’onore per di più.
Magari, funziona pure come nelle spa: assieme al caffè mi potrebbero offrire anche un massaggio rilassante sulle loro poltrone griffate LV, con sottofondo musicale, aperitivi detox e pure il trattamento viso a base dell’ultima crema al caviale. E tutto grazie al mio innegabile fiuto commerciale!
Con aria vittoriosa, fiera dei risultati ottenuti mi faccio largo tra gli altri clienti per aggiudicarmi la poltrona più comoda dell’area prive’, prima che qualcun altro, più destro di me, me la soffi via, godendosi il massaggio al mio posto.
Uno spazio relax delizioso, devo dire. Anche se, francamente, mi aspettavo qualcosa di più. Potrei definirlo la versione elegante di una classica sala di attesa di uno studio medico, solo un po’ più colorata: stesse poltroncine in pelle, stessi tavolini con riviste patinate per intrattenere gli ospiti. Quale migliore occasione dunque per dare una breve sbirciatina, nell’attesa, a un po’ di sano gossip di cui sono da tempo digiuna? Muoio dall’idea di essere aggiornata sulle love stories dei reali di Inghilterra, o magari su qualche pettegolezzo locale a proposito dei nostri Principi.
Detto fatto raccolgo dal tavolo la prima rivista disponibile. Ma con mia grande sorpresa scopro che da LV il gossip deve essere stato bandito, forse per qualche oscura legge a tutela della privacy del Principato.
Non mi resta allora che ripiegare sull’unica scelta disponibile: un magnifico catalogo LV con tutti gli aggiornamenti sui nuovi modelli, le ultime tendenze della moda e il magnifico network mondiale di tutti i negozi LV.
Fantastico, non trovate? Mi tuffo subito in quel nuovo universo quando ho la sensazione di vederci doppio. O di avere un’allucinazione. O tutte e due le cose. Prima di tutto, in senso figurato: i prezzi esistono dunque anche da loro!
Poi perché gli zeri dopo la virgola sembrano prolificare a dismisura pagina dopo pagina, articolo dopo articolo, borsetta dopo borsetta, neanche si tratti di una qualche strana piaga come le cavallette in Egitto.
Fino a quando un orrore totale si impadronisce di me. Ma quanto costano i saldi qui a Monaco? La verità è che qui nei negozi esclusivi della città dei glitter i saldi non iniziano mai!
Fatto sta che io quell’acquisto non posso proprio farlo.
Come in preda al peggiore degli incubi, da cui voglio assolutamente svegliarmi nel più breve tempo possibile individuo l’ascensore più vicino a me e in men che non si dica mi dileguo. Atterrando tra gli umani del piano Terra. Lasciandomi alle spalle le boutique fantascientifiche di quel Boulevard dell’assurdo, dove come Alice in Wonderland hai sempre la sensazione di essere ogni volta fuori misura: troppo piccola per la dimensione gigantesca delle loro vetrine, troppo grande per l’ottusità di certi ambienti esclusivi, che ai miei occhi di comune mortale appaiono come labirinti.
Meglio prendersi una sana boccata d’aria.
Ritornando alla realtà e ricalibrando su di essa, in base a parametri normali, la scala dei miei valori.
Dopotutto, cosa ci hanno sempre insegnato i saggi vecchi consigli delle nostre nonne? Basta il pensiero, no?
Benissimo: siccome il mio pensiero iniziale era un diamante, e data l’esosità dei suoi costi reali, forse la soluzione esatta risiede nel ridurre alla radice il nucleo portante del mio prezioso regalo, un piccolo ma significativo “cadeau”. Per arrivare all’essenziale, purché non sia proprio così “invisibile agli occhi”. E qual’è la radice quadrata di un diamante, nei costi e nei carati, se non un bellissimo Swarovski approcciabile da quasi tutte le tasche?
Fatto sta che alla fine sembra che io sia pure riuscita a dimostrare l’incommensurabile superiorità degli Swarovski rispetto ai diamanti.
La cosa è facilmente dimostrabile in base a un teorema molto semplice e ovvio, da me modestamente ideato: se i diamanti sono i migliori amici di una donna in base alla legge di Marilyn, gli Swarovski non possono che essere ancora più preziosi, in base alla mia personale legge. Perché infatti sono i migliori amici di una donna che, a sua volta, vorrebbe regalare diamanti alla sua migliore amica. Dunque il loro valore è esattamente quello dei diamanti al quadrato.
Perciò è dimostrato: se la matematica non è un’opinione, perché si basa su rigidi regolamenti, l’amicizia invece è un’emozione che si misura in duttili, ma non meno eterni, sentimenti.
Epilogo: tutto si è sistemato una volta ritornata per un breve weekend nella mia Milano.
I magnifici e storici magazzini de La Rinascente vantano un piccolo ma prestigioso stand di LV. Non fatevi ingannare dalle dimensioni: sebbene assomigli nella grandezza alla sola saletta ospiti dell’equivalente monegasco, anche qui, come nel teorema Swarovski/Cartier, tutto deve essere letto in chiave inversamente proporzionale. Innanzitutto sono molto riforniti, anche delle ultime novità più trend del momento. E poi i commessi (molto carini, devo ammetterlo) sono pure simpatici e disponibili. Si prestano anche a posare per selfie vari o a scattare per voi le foto da postare su Instagram, nel caso. E soprattutto, qui a Milano, i prezzi non sono tutelati dal segreto di stato. Ed esistono persino i saldi!