Lo avevamo intuito gia’ da un po’…
Che era nell’aria: la ricerca di multiculturalismo, un leggero “misto frutta” edulcorato, con qualche sprazzo di autenticità e sottofondo di fuochi d’artificio…
Lo si capiva bene gia’ con “La principessa ranocchio”.
La cui narrazione portava alla ribalta il folklore locale, le tradizioni (la magia e il vudù, un accenno di storia e il background culturale). Il mondo del blues, un universo complesso che ha le sue radici nelle piantagioni di cotone della profonda Louisiana. Con le luci e le suggestioni di New Orleans.
…Gia’…Si poteva anche intravedere questo nuovo interesse alla “contaminazione” esterofila con “Mulan”, alla scoperta dell’Oriente, degli spiriti protettori degli avi e dei suoi dragoni multicolori.
Ma ai tempi era cosa più blanda. Toccata e fuga. Niente filosofia zen. Poco Ying e Yang.
“Coco” invece mi ha genuinamente sorpreso.
Prima di tutto per la presenza costante del mondo dei morti. Che non è cosa trascurabile, men che meno in un cartoon principalmente diretto all’infanzia. In una società che ha rimosso completamente il concetto…
La grafica ricorda molto quel genio di Tim Burton in “Nightmare before Christmas” (eravamo nel 1993!)… anzi direi ha attinto a piene mani (falangi e falangine, omeri e femori compresi!) al disegno ormai assimilato al nostro onirico. Quei simpatici scheletri viventi. Un’oltretomba un po’ troppo “ville lumiere” per essere credibile, ma cosa vuoi..non si può avere tutto…
E poi chi può mai dirlo…
Comunque sia: la trama è incentrata sulla determinazione a seguire i propri sogni nonostante le avversità che si incontrano sul cammino.
Sulla falsariga di “Ballerina” (uscito lo scorso anno, adorabile!), ragazzina della Normandia cresciuta in un orfanotrofio, che approda all’Opera di Parigi superando ostacoli e competizioni estenuanti.
Qui invece siamo nel colorato Messico. Musica, aromi, sabor ispanico.
Un ragazzino insegue il suo sogno di diventare musicista. Combattendo l’ostilita’ familiare. E riscoprendo le proprie origini. Compagni inseparabili: un sombrero, una chitarra (la classica spagnola: quella di “besame mucho”, “la cucaracha”, “por una cabeza” e tutte le altre..) , il cane fedele.
Ma la Pixar si spinge oltre…
Introducendo accenni in chiave “pop” alla cultura locale. Il nostro eroe incontrera’ Frida Kahlo in un musicall dell’aldila’.
E soprattutto… sara’ usata una colonna sonora molto “inedita” per il genere cartoons. Proprio accanto al “tormentone” (molto più commerciale) della ormai famosa “un poco loco”.
“La llorona” e’ una canzone tradizionale del Messico rivoluzionario (un bel passo avanti per il consumismo made in Usa!). Tant’è che era gia’ stata usata, per l’appunto, come colonna sonora del film dedicato a Frida Kahlo (con Salma Hayek, un capolavoro!) del 2002. Allora cantava un mito vivente: Chavela Vargas. Da brivido.
Versione tradizionale (se così si può dire:esistono almeno tre diverse versioni della canzone…)
Una vera poesia.
Per il cartoon la Pixar edulcora e semplifica le nostre “letras” strappalacrime. E rende meno drammatica la canzone, ritmandola con effetti speciali nella versione cantata da Angelica Vale.
Il lieto fine è d’obbligo,si sa…
E ci lascerà comunque arricchiti dalla sensazione che avremo qualche spunto in più per raccontare ai nostri figli qualcosa che si avvicini, almeno vagamente, a “c’era una volta il Messico”…
Niente Coca Cola e hot dog, per questa volta: solo tacos, tortillas e nachos. E della buona, tradizionale, musica!